Ricerca. Tre imprese su quattro non trovano laureati qualificati
Gli studenti universitari italiani migliorano la loro conoscenza delle nuove tecnologie, ma nel complesso rimane ancora un divario di competenze digitali da colmare. In media, soltanto il 30%, conosce la definizione corretta di strumenti dell’innovazione digitale applicati al business come “mobile advertising”, “cloud”, “fatturazione elettronica” o “big data” (erano il 25% due anni fa), mentre ben il 60% non ha mai sentito nominare alcune delle principali aree dell’innovazione digitale, come blockchain, Internet of Things o Industria 4.0. Passando dalla teoria alla pratica il divario diventa più evidente: solo un universitario su cinque (il 21,5%, contro il 18,6% del 2015) mediamente ha un'esperienza concreta nella gestione di progetti digitali: un buon 38% ha già venduto online, il 26,9% gestisce una pagina Facebook, appena l'11,4% ha un canale YouTube e il 9,8% un proprio sito o blog. È in deciso miglioramento la competenza nello sviluppo software, la cui importanza è compresa ormai da 4 studenti su 10 con un’incidenza trasversale tra le facoltà: il 16% sa già sviluppare (contro il 10% di due anni fa) e il 29% sta imparando (il 20% nel 2015). Fra gli universitari inizia a manifestarsi un'attitudine al fare impresa: il 27% ha avuto almeno un’idea di business, anche se poi non sa cosa fare concretamente per avviarla. Tuttavia, la maggior parte dei giovani che frequentano gli atenei tende ad avere un’idea ancora conservativa dell’impatto delle tecnologie digitali nel mondo del lavoro: solo il 19% crede che il digitale favorisca lo sviluppo di modelli di business innovativi e discontinui rispetto al passato.
Sono complessivamente 2140 gli insegnamenti delle università italiane con contenuti formativi su temi digitali e imprenditoriali: i corsi “digitali” sono particolarmente diffusi nelle facoltà informatiche e scarsi in quelle scientifiche, i corsi “imprenditoriali” sono ben presenti nelle facoltà economiche ma rari in quelle scientifiche e informatiche.
Le lacune digitali degli studenti rischiano di ritardarne l’ingresso nel mondo del lavoro. Oltre due imprese su tre considerano le competenze imprenditoriali e digitali requisiti molto importanti per assumere, ma ben il 76% fatica a trovare laureati digitalmente preparati. Allo stesso tempo, però, sono ancora le poche le imprese che investono nello sviluppo di competenze digitali (38%) e imprenditoriali (28%) dei propri dipendenti.
Sono alcuni dei risultati della ricerca Il futuro è oggi: sei pronto? sulle capacità digitali e la sensibilità imprenditoriale degli studenti universitari italiani, condotta da University2Business, società del Gruppo Digital360, in collaborazione con Enel Foundation. La ricerca ha coinvolto un campione di 2.161 studenti statisticamente significativo dell’intera popolazione degli universitari italiani per approfondirne la preparazione sull’innovazione digitale e sull’imprenditorialità, ha analizzato l’offerta formativa sul tema delle principali Università italiane, ha indagato il punto di vista di 251 Hr manager delle principali imprese del Paese su competenze digitali e mindset imprenditoriale dei talenti del futuro.
«Il gap di competenze digitali degli studenti universitari si sta riducendo – commenta Andrea Rangone, ceo di Digital360 –. Negli ultimi due anni, è raddoppiata la percentuale di coloro che hanno sviluppato progetti digitali concreti e possiedono un’elevata conoscenza teorica, passata dal 6% al 12%, è calata sensibilmente la quota di coloro senza competenze teoriche e concrete, passata dal 67% al 54%. Ma non è sufficiente: una fetta ancora troppo grande degli universitari è ancora inconsapevole di quanto il digitale stia trasformando la cultura aziendale, i processi e i modelli di business, con una scarsa conoscenza teorica e un’ancora più lacunosa competenza pratica. Gli atenei stanno aggiornando la loro offerta formativa, ma anche le imprese, che scontano difficoltà nel reclutamento di profili adeguati, devono fare la loro parte, aumentando gli investimenti in piani di formazione che mettano al centro competenze digitali e imprenditoriali».
In media 21,5% degli studenti universitari italiani ha una esperienza concreta nella gestione di progetti digitali. I progetti più frequenti riguardano l’e-commerce, praticato almeno una volta dal 38% dei giovani (contro il 36% del 2015), anche se solo il 2% ha venduto attraverso un proprio sito, e poi la gestione di una pagina Facebook oltre al proprio profilo personale, di cui si occupa il 27% del campione (in crescita di dieci punti rispetto a due anni fa), fra i quali il 60% per guadagnare o per promuovere un’attività. In crescita anche gli studenti che hanno un proprio canale You Tube (l’11%, +3% sul 2015). Diminuisce invece dal 13% del 2015 al 10% di quest’anno chi ha un blog o sito; fra questi, il 50% ne monitora puntualmente i risultati, mentre il 25% aggiorna i contenuti almeno una volta alla settimana. Gli studenti delle facoltà informatiche e umanistiche prevalgono fra coloro che gestiscono un blog o una pagina Facebook. YouTube, invece, sembra essere un canale soprattutto maschile, con il numero degli studenti attivi pari al doppio delle studentesse.
Soltanto il 30% degli studenti è in grado di dare la definizione corretta di concetti chiave del business digitale come “mobile advertising”, “cloud”, “fatturazione elettronica” e “big data”, con un miglioramento comunque non trascurabile rispetto al 25% del 2015. Negli ultimi due anni è aumentata sensibilmente la conoscenza del mobile advertising (passata dal 38% al 51,6%) e dei big data (dal 25,1% al 36,7%), mentre è rimasta stabile la padronanza del concetto di fatturazione elettronica e diminuita la consapevolezza sul cloud (dall’11,6% al 5,8%), che si conferma il più difficile da assimilare. Non ci sono differenze rilevanti fra le facoltà, con l’eccezione degli studenti di informatica che mediamente risultano più preparati, mentre c'è un divario di genere, con le ragazze che registrano un 5% in meno di risposte esatte e un 15% in più di risposte “non saprei”.
Le stesse lacune si presentano rispetto alle aree di innovazione digitale, come blockchain, Internet of Things o l’Industria 4.0: in media, soltanto il 5% degli studenti ha una conoscenza approfondita di questi argomenti, il 12% le sta studiando, il 25% sta leggendo qualche articolo per informarsi, mentre ben il 60% afferma di non aver mai sentito parlare di nessuna di queste tematiche. Una scarsa conoscenza che si riflette anche sulla capacità di valutare l’impatto di queste tecnologie sulle imprese: soltanto il 19% crede che le tecnologie digitali possano portare allo sviluppo di modelli di business innovativi e discontinui rispetto al passato. Sorprendentemente, gli informatici sono i più conservativi (solo il 10%), mentre le studentesse sono più sbilanciate sulla portata innovativa degli strumenti digitali rispetto ai loro colleghi (25% contro 12%).
Le capacità di sviluppare software è la competenza digitale che gli universitari sono riusciti a migliorare maggiormente dalla prima edizione della ricerca: il 16% oggi sa sviluppare (era il 10% nel 2015) e quasi uno su tre dichiara sta imparando (il 29%, contro il 20% di due anni fa). Tra chi ha già sviluppato qualcosa, il 24% ha realizzato siti web, il 15% software di utilità e il 15% app per smartphone o tablet. Non ci sono differenze sostanziali fra gli studenti delle varie facoltà, ad eccezione degli informatici, naturalmente più preparati della media.
La ricerca di quest’anno ha rilevato una crescente diffusione del termine “startup”, che pochissimi studenti dichiarano di non conoscere, e dell’interesse per le iniziative imprenditoriali, con il 27% di universitari che afferma di avere avuto almeno un’idea di business (il 18,6% nel 2015), anche se non sanno cosa fare per avviarla concretamente.
La maggior parte degli studenti dichiara di conoscere l’inglese a un livello intermedio o avanzato (84%), il 21,4% lo spagnolo e il 17,8% il francese. Se preparati nella conoscenza delle lingue, pochi possono vantare un’esperienza di studio o lavoro all’estero: quasi tre su quattro (il 72,8%) non hanno mai lasciato l’Italia e tra chi lo ha fatto la maggioranza è andata in un altro Paese per frequentare un corso di lingua (12,9%) o per partecipare all'Erasmus (11%), solo una minoranza per una breve esperienza di lavoro (3,2%) o stage (1,6%). Anche la presenza di contatti stranieri fra i profili social è limitata: meno del 10% degli studenti ne ha quasi per metà dei contatti (48%), il 35% per una quota fra il 10% e il 30%, soltanto il 5% per oltre metà contatti.
Quest’anno la ricerca ha indagato anche l’offerta formativa sui temi digitali e imprenditoriali delle università italiane, analizzando tra giugno ed ottobre i siti di tutti i principali atenei italiani (ad eccezione di quelli telematici) entrando nel merito di oltre 4.200 corsi di laurea di 556 Facoltà. Complessivamente sono 2.140 gli insegnamenti con contenuti formativi su temi digitali e imprenditoriali. Tra gli insegnamenti digitali, 533 sono quelli “dedicati”, in cui i contenuti digitali sono l'argomento principale del programma, 402 “core”, con almeno una sezione dedicata del programma, 698 “accessori”, componente secondaria. Un numero particolarmente elevato si ritrova nelle facoltà informatiche (534), mentre è limitato in quelle scientifiche (solo 89), con gli altri raggruppamenti in posizione intermedia. I corsi digitali sono equamente distribuiti tra le Facoltà delle aree del Paese, con un picco nel nord-ovest (485). I contenuti trattati con più frequenza sono “sviluppo software”, “big data analytics”, “digital marketing”, “IT security” e “social media”, mentre sono poco presenti “cognitive computing”, “e-payments e blockchain”.
Tra gli insegnamenti imprenditoriali, 367 sono “dedicati”, 31 “core” e 186 “accessori”, con una forte presenza nelle facoltà economiche (404) e molto esigua in quelle scientifiche (15) e informatiche (27), mentre si difendono bene le ingegneristiche (87) e umanistiche (50). Nella distribuzione geografica, si nota un ottimo posizionamento del nord-ovest (180) e sud-isole (163), meno del centro (134) e nord-est (107). Tra le tematiche imprenditoriali, business plan (208) e business model (193) sono le più frequenti nei programmi di studio, seguite da management dell'innovazione (138), imprenditorialità (102) e startup (48).
Le imprese – Quando si tratta di inserire un neolaureato in azienda, per un’impresa su due le competenze digitali sono molto importanti (53,4%), addirittura fondamentali per il 19%. E secondo gli HR manager, le principali aree di innovazione su cui investire nel prossimo futuro sono Big Data Analytics, Digital Marketing, Industry 4.0 (34,7%), Social Media (25,1%) e Cloud Computing (24,7%). Ma trovare personale preparato è difficile per uno su due (51%), molto difficile per un su quattro (24,7%). Anche le competenze imprenditoriali sono molto apprezzate: importanti per il 55,4% delle imprese e fondamentali per l’8%. Le aziende hanno alte aspettative anche riguardo alle competenze digitali e imprenditoriali dei dipendenti, soprattutto la capacità di adattare comportamenti e modalità di lavoro alle nuove tecnologie (Digital Change, 52,2%), la capacità di cogliere i bisogni nascosti dei clienti attraverso gli strumenti digitali (Customer Centricity, 34,7%) e l’attitudine al problem solving tramite l’uso del digitale (33,1%).
Alla richiesta di competenze digitali e imprenditoriali, però, non corrisponde un’adeguata offerta di formazione. Soltanto un Hr Manager su quattro ha effettuato una verifica delle competenze presenti in azienda, appena il 38% un piano formativo sul digitale e solo il 28% azioni per migliorare le capacità imprenditoriale del personale. Fra le imprese che hanno impostato piani formativi, il 37,5% ha avviato una ricerca di Digital Champions interni all’azienda che si facciano promotori di una cultura dell’innovazione, il 36,7% ha lanciato campagne di comunicazione e sensibilizzazione interna, il 25,9% ha offerto workshop sull’innovazione digitale, il 17,8% ha organizzato hackathon aziendali, il 17,1% ha promosso contest aperti ai dipendenti, il 14,3% ha predisposto percorsi formativi strutturati, mentre il resto ha offerto corsi di formazione spot (8,8%) e formazione online (8,4%).