Energia. Le ragioni dello sciopero nazionale dei lavoratori dell'Enel
La protesta dei lavoratori Enel a Napoli
Uno sciopero per contestare una strategia industriale focalizzata sui profitti e non sulla transizione energetica, senza un adeguato investimento sul capitale umano. In un 8 marzo caratterizzato da proteste in vari ambiti, dalla scuola ai trasporti alla sanità, la voce dei lavoratori dell’Enel che hanno incrociato le braccia lungo tutta la Penisola è fuori dal coro. «Non scioperiamo per rivendicare aumenti salariali» spiegano i sindacati confederali di categoria ma per chiedere che l’azienda rispetti gli impegni previsti dal Pnrr. Una ventina i cortei in tutta Italia, con adesione allo sciopero del 90% per i sindacati e del 55% per l’azienda.
«Gli elettrici non scioperano quasi mai e quando lo fanno non creano danni all’utenza perché hanno un codice di autoregolamentazione - spiega Amedeo Testa, segretario generale di Flaei Cisl - ma questa volta si è passato il limite. Enel non sta rispettando la propria vocazione industriale che è quella di gestire per conto dello Stato una concessione. Così mette a rischio quella transizione energetica che ha invece l’obbligo di attuare». Per centrare l’obiettivo di implementare del 55% la produzione di energia rinnovabile, uno dei pilastri del Pnrr, secondo i sindacati Enel dovrebbe attuare un piano espansivo, assumendo personale. Invece lo diminuisce, perché chi va in pensione non viene sostituito, e pensa ad esternalizzare alcune attività.
«Enel agisce contro i lavoratori per abbattere il costo del lavoro che rappresenta appena l’8% del prezzo finale dell’elettricità - continua Testa - . Tra i punti che contestiamo l’esternalizzazione di attività core come le manovre in cabina secondaria, particolarmente rischiose per gli operatori. C’è poi la richiesta di istituire due turni di lavoro al posto del turno unico 8-16 e di ridurre lo smartworking, impattando così sulla gestione familiare di migliaia di lavoratori». Per giustificare i risparmi sul personale, viene evocata la necessità di ridurre il debito dell’azienda. «Strizzano l’occhio alla finanza e fanno solo operazioni per quadrare bilanci e produrre utili. Ma non può essere il mercato a dettare le strategie operative di Enel che vive grazie ad una concessione ed ha costi riconosciuti per le attività regolamentate. Vive in sostanza grazie alle bollette degli italiani» aggiunge il segretario di Flaei Cisl.
La protesta dei lavoratori Enel - Ansa
I confederali ricordano una vertenza analoga, quella nel settore della distribuzione di quattro anni fa, che si è conclusa con un lieto fine: l’inserimento di oltre 3mila giovani lavoratori in Enel. I dipendenti dell’azienda sono attualmente 31mila.
Ma non c’è solo la questione occupazionale. L’altro fronte caldo riguarda gli investimenti per le fonti rinnovabili, passati secondo i sindacati da 5,5 miliardi a 2,9 miliardi di euro nei prossimi tre anni, con un generico impegno per la realizzazione di impianti fotovoltaici e sistemi di accumulo e nessun riferimento alla geotermia e al settore idroelettrico.
L’azienda da parte sua smentisce i dati forniti dai sindacati e fa sapere di essere aperta al dialogo a fronte di una chiusura totale della controparte. L’obiettivo di Enel è aprire un confronto per trovare soluzioni che coniughino flessibilità ed efficienza. «I sindacati hanno deciso in maniera unilaterale di aprire uno stato di agitazione» sottolinea una nota. «Le condizioni di mercato e il contesto economico sono significativamente cambiati rispetto al passato» spiega Enel aggiungendo che «è quanto mai necessario che vengano intraprese e implementate le azioni alla base del Piano industriale che peraltro non comportano riduzioni retributive o di personale, né ora, né in futuro, sono nell’esclusivo interesse dell’azienda».
Per Enel sono del tutto infondate sia le accuse di esternalizzazione di attività strategiche, sia quelle legate ai mancati finanziamenti per la transizione energetica. La metà degli investimenti previsti livello globale, 17 miliardi, è destinata all’Italia con un impegno cospicuo, pari a 12 miliardi di euro sulle reti. L’impressione, dicono, è che si tratti di una protesta politica, contro l’amministratore delegato Flavio Cattaneo designato a maggio dal governo Meloni, e in vista delle elezioni delle rappresentanze sindacali di base fissate per il 22 aprile.