Economia

Guida. Torte fatte in casa per la parrocchia, come essere in regola

Lidia Galfrascoli lunedì 25 giugno 2018

Banchetto alla parrocchia di San Giovanni Crisostomo a Milano

Con l’arrivo dell’estate e l’inizio del grest si moltiplicano le richieste di aiuto nel preparare e fornire torte e dolci in genere fatti in casa come merende “sane” da offrire ai ragazzi o per vendere tali prodotti al fine di raccogliere fondi per finanziare le varie attività della parrocchia ed i progetti di beneficenza.

Spesso però sorge il dubbio sulla possibilità e legittimità o meno dello svolgimento di tale attività e ci si chiede se le torte delle mamme e delle nonne possano tranquillamente essere vendute fuori dalla chiesa o consumate in oratorio.

Innanzitutto è opportuno sgombrare il campo da equivoci che spesso portano a vietare tali attività “per non correre rischi”, come in molte scuole dove appunto vengono emesse circolari in cui si stabilisce che non è consentito portare dolci fatti in casa in occasione delle feste di compleanno ed è vietato vendere torte casalinghe all’interno della scuola.

In effetti è proprio vero il detto: “chi non fa non sbaglia”, ma a volte in tal modo si perdono delle vere opportunità.

Vediamo allora come si possono sciogliere i dubbi che sempre accompagnano tali iniziative e come ci si può districare tra le varie normative che regolano la materia della produzione e vendita di dolci.

La prima distinzione da fare è tra la produzione di dolci occasionale e non professionale e quella che invece ha tali requisiti. L’applicazione o meno delle restrizioni normative dipende proprio dalle modalità di svolgimento dell’attività: seppur preparati nell’abitazione privata, infatti, gli alimenti e le bevande possono essere oggetto sia di un’attività imprenditoriale sia di un’attività non organizzata. C’è infatti differenza tra una mamma che prepara una torta da portare per la vendita a un mercatino di Natale e una mamma che prepara torte, sempre fatte in casa, ma come microimpreditore domestico, facendo dunque di ciò una vera e propria attività lavorativa. Ebbene, solo in tale secondo caso si applica il Regolamento CE 852/2004 che impone una serie di obblighi e prescrizioni che devono essere rispettati e in mancanza dei quali la vendita di prodotti casalinghi è vietata.

È impensabile, infatti, che si possa attrezzare come un vero e proprio laboratorio artigianale la cucina di chi, occasionalmente, si rende disponibile a dare una mano. Tuttavia occorre altresì fare i conti con le autorità locali che, nel recepire il Regolamento CE 852/2004 per la parte che riguarda la produzione di alimenti nelle abitazioni private, potrebbero applicare restrittivamente tale normativa: non è raro, infatti, che vi siano regolamenti diversi a seconda del luogo ove si va ad attuare la vendita ed è consigliabile, dunque, verificare con la ASL locale le condizioni da rispettare.

Posto, dunque, che, in linea generale, si può continuare a chiedere e sollecitare l’aiuto delle mamme e delle nonne nella preparazione dei dolci, a questo punto ci si chiede se ci sono altre prescrizioni normative che meritano attenzione, in particolare per quanto riguarda il confezionamento e l’etichettatura del dolci che vengono venduti e/o consumati. In realtà ci sono numerose norme europee, recepite dalla normativa nazionale, che si occupano della materia; si vedano, in proposito:

* il Decreto Legislativo 15 dicembre 2017 n. 231 “Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento (UE) n. 1169/2011 e della direttiva 2011/91/UE, ai sensi dell'articolo 5 della legge 12 agosto 2016, n. 170 Legge di delegazione europea 2015” che, a decorrere dal 9 maggio 2018, ha abrogato il Decreto Legislativo 109/1992;

* il Regolamento europeo del 25 ottobre 2011, n. 1169/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo all’indicazione degli allergeni;

* il Regolamento CE 178/2002 sulla rintracciabilità degli alimenti e qualità dei prodotti.

In particolare, i dati del prodotto che devono essere visibili sull’etichetta degli alimenti pre-confezionati in base al Regolamento europeo sono i seguenti:

* denominazione legale alimento;

* lista ingredienti;

* allergeni che vengono utilizzati nella produzione o nella preparazione di un alimento, presente nel prodotto finale, anche se in forma modificata;

* quantità di un determinato ingrediente o categorie di ingredienti;

* quantità netta dell’alimento;

* data di durata minima o data termine di utilizzo;

* qualunque condizione particolare di conservazione e/o utilizzo;

* il nome e l’indirizzo dell’operatore professionale alimentare dell’alimento che viene commercializzato (o il nome dell’importatore se l’operatore professionale alimentare risiede al di fuori della UE);

* il luogo di origine o provenienza se richiesto previsto dall’articolo 26;

* istruzioni per l’uso;

* relativamente alle bevande contenenti più del 1,2% di alcool per volume, il reale grado alcolico per volume; * dichiarazione nutrizionale.

La normativa nazionale (D.Lgs 231/2017) provvede a sanzionare le violazione alle disposizioni del Regolamento suddetto e ad adeguare le disposizioni del D.Lgs. n. 109/1992 alla normativa comunitaria disponendo, in particolare a tutela del consumatore, le modalità di indicazione obbligatoria degli allergeni per i prodotti non preimballati e per gli alimenti serviti dalle collettività.

Come per la produzione, tuttavia, anche la normativa europea in materia di etichettatura, rintracciabilità degli alimenti e indicazione degli allergeni vede come destinatari le imprese, restando dunque escluse dal suo ambito di applicazione le attività casalinghe non organizzate, come le abbiamo sopra individuate. Se è vero, dunque, che, secondo la normativa vigente, è necessario preconfezionare, etichettare gli alimenti prodotti e garantirne la rintracciabilità è altresì vero che tale obbligo sussiste per i prodotti alimentari posti in vendita o somministrati nell’ambito di un’attività imprenditoriale.

A questo punto occorre però fare un passo ulteriore e pensare cioè alla finalità che le norme si propongono di raggiungere. È evidente, infatti, che tutta questa produzione normativa è destinata ad assicurare la tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori, nonché la corretta e trasparente informazione al consumatore. È altrettanto vero che, seguire una corretta procedura, tutela non solo chi consuma ma anche chi produce i dolci. Diventa così non solo una questione di buon senso ma una vera e propria precauzione necessaria anche con riferimento ai dolci e prodotti offerti dalle mamme e dalle nonne, provvedere all’indicazione degli ingredienti utilizzati al fine di garantire una maggior tutela di tutti.

Le allergie e le intolleranze alimentari sono infatti molto diffuse e occorre porre in essere tutte le cautele del caso per evitare sorprese spiacevoli non solo per chi consuma ma anche per chi ha preparato i dolci nella convinzione che “non fanno male a nessuno”. Sarà buona norma, dunque, chiedere a chi si offre di preparare i dolci, di provvedere al loro confezionamento in modo che siano protetti dall’ambiente esterno per evitare contaminazioni, nonché chiedere di indicare esattamente gli ingredienti e la quantità utilizzata per la preparazione (evitando creme e panna o comunque ingredienti che necessitano della conservazione in luogo fresco), così chi acquista e consuma lo farà con consapevolezza.

Manteniamo dunque le tradizioni e le usanze senza lasciarci condizionare da scrupoli spesso non motivati, attuando tuttavia tutte le cautele necessarie al fine di eliminare inutili rischi e, a tale scopo, le indicazioni delle normative sopra riportate, possono essere una utile linea guida da seguire come traccia per un prudente operato.