A breve scadranno i 180 giorni, che, nella Legge Fornero, scandivano il tempo a disposizione del Governo per definire linee-guida comuni e condivise con le Regioni in materia di tirocini. Il documento è non solo atteso, ma anche urgente. Lo scorso dicembre la Corte Costituzionale ha infatti sancito la competenza esclusiva delle Regioni in materia, dichiarando l’illegittimità costituzionale della normativa nazionale che definiva regole omogenee ed essenziali applicabili in tutte le Regioni. Vero è tuttavia che solo una minoranza di queste si è dotata, nel corso degli anni, di una regolamentazione organica e autosufficiente in una materia tanto importante per l’occupazione e la formazione dei giovani. Di modo che si registra oggi in molte Regioni un preoccupante vuoto normativo. Solo otto Regioni sono infatti provviste di una normativa completa in materia di tirocini (Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Trento, Veneto). Le restanti tredici o non hanno una disciplina organica – mancando informazioni indispensabili come ad esempio la lista dei soggetti promotori o i limiti numerici o ancora tralasciando di considerare i tirocini per l’inserimento/reinserimento lavorativo di disoccupati e inoccupati e soggetti svantaggiati (Bolzano, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Molise, Sicilia) – oppure non hanno proprio mai provveduto a dotarsi di una regolamentazione autonoma e indipendente da quella nazionale (Basilicata, Calabria, Marche, Puglia, Sardegna, Umbria e Valle d’Aosta).La sentenza pone comunque un problema anche per le Regioni che dispongono di una normativa, perché nella maggior parte dei casi questa è stata adottata in recepimento delle indicazioni di tutela di livello nazionale poi giudicate illegittime. Di fatto quindi anche le Regioni che hanno disciplinato bene la materia dovranno rimettere mano alle regole dei tirocini per uniformarsi a queste nuove linee-guida. La bozza di documento in circolazione infatti, oltre a molte conferme contiene alcune importanti novità. Da un punto di vista definitorio e di campo di applicazione, sono confermate le "tipologie" di tirocinio già previste: tirocini formativi e di orientamento o stage (per neo-diplomati e neo-laureati), tirocini di inserimento e reinserimento (per disoccupati, inoccupati, lavoratori in mobilità e in cassa integrazione) e i tirocini destinati a categorie svantaggiate. Le nuove linee-guida non si applicheranno quindi ai tirocini curriculari, ovvero quei tirocini promossi da scuole e università e inseriti in percorsi formali di istruzione, né ai tirocini per l’accesso alle professioni ordinistiche, né a quelli transnazionali realizzati nell’ambito di specifici programmi europei (ad esempio il programma Leonardo). Quanto alle novità, risulta ribaltata la prospettiva nel caso di tirocini attivati da imprese multi localizzate: non vale più il principio (valido anche per l’apprendistato) secondo cui si applica la normativa della Regione in cui si trova la sede legale dell’azienda, ma varrà la normativa della Regione dove il tirocinio sarà svolto. Un appesantimento burocratico di cui non si sentiva il bisogno in un Paese che sta al 73esimo posto al mondo (dietro il Ghana) per facilità di creazione di impresa.Ma una delle novità maggiori, già anticipata nella legge Fornero di riforma del mercato del lavoro, è quella dell’obbligatorietà di pagare agli stagisti una «indennità di partecipazione congrua». Il concetto di congruità pare essere stabilito in un duplice senso: congruo se previsto «a partire dal 4° mese di tirocinio» e se di importo «non inferiore a 400 euro mensili». Un netto giro di vite agli stage non pagati dunque, ma un rischio boomerang per gli stessi sostenitori della "paghetta". Il rischio probabile, infatti, è quello di un turnover di stagisti "a breve termine" (entro quattro mesi) per non incorrere nell’obbligo di remunerazione, assieme alla creazione di un alibi per le imprese che, sulla base del compenso di 400 o più euro, potrebbero sentirsi legittimate a far lavorare un po’ di più e formare un po’ di meno.