Lo scontro sindacale. Il sistema Svezia alla guerra dei diritti contro Tesla
ALBERTO CAPROTTI
Il primo round giudiziario ha dato ragione all’azienda di Elon Musk, ma la sfida tra Tesla e i sindacati in Svezia promette di essere ancora lunga e combattuta. E di provocare conseguenze anche in altri Paesi.
Tutto nasce dal fatto che il marchio californiano che produce automobili elettriche non è sindacalizzato a livello globale. I suoi 130 metalmeccanici che lavorano negli impianti svedesi in particolare non sono tutelati come nel caso, ad esempio, di Ford, General Motors e Stellantis negli Stati Uniti, dove la United Auto Workers ha appena ottenuto migliori condizioni contrattuali dopo un duro sciopero di sei settimane, costato miliardi alle tre aziende di Detroit. Ora però i lavoratori svedesi chiedono che Tesla firmi un contratto collettivo di lavoro, come è prassi per la maggior parte dei dipendenti nel Paese scandinavo, e hanno ricevuto il sostegno di molte altre categorie.
Da settimane dunque è in corso la più grande mobilitazione sindacale che Tesla abbia dovuto affrontare da quando è stata fondata, nel 2003. La Svezia è il suo quinto mercato in Europa per numero di vetture immatricolate. Lo sciopero è iniziato il 27 ottobre per l’iniziativa dei 130 meccanici che si occupano di revisionare le autovetture dell’azienda e sono affiliati al sindacato nazionale IF Metall: lo scopo era spingere Tesla a firmare un accordo collettivo che definisse la retribuzione, gli orari e i benefit a cui hanno diritto le persone che ci lavorano.
Ma nelle ultime settimane l’azione di protesta si è allargata a varie categorie di lavoratori di altre aziende, solo per ragioni di solidarietà. Così, prima i portuali si sono rifiutati di scaricare le merci di Tesla nei porti svedesi, ma anche gli addetti alle pulizie dei suoi spazi espositivi e delle officine hanno incrociato le braccia, come gli elettricisti che hanno smesso di riparare le colonnine di ricarica delle automobili dell’azienda. Stefan Löfven, ex primo ministro del Paese, ha annunciato pubblicamente che si rifiuta di salire a bordo di un taxi se l’autista guida una Tesla, dato che «sembra che questa azienda voglia ignorare come funziona il mercato del lavoro svedese»
Ma soprattutto, dal 20 novembre scorso i dipendenti delle Poste si rifiutano di consegnare lettere, pezzi di ricambio e in particolare le targhe delle nuove vetture a tutti gli indirizzi di Tesla in Svezia. E questa è stata la protesta più penalizzante per l’azienda di Elon Musk, che in pratica è stata costretta a fermare del tutto la consegna delle proprie auto ai clienti.
Gabriella Lavecchia, presidente del sindacato delle Poste, ha detto che «Tesla sta cercando di ottenere vantaggi competitivi offrendo ai lavoratori salari e condizioni peggiori di quelli che avrebbero con un contratto collettivo. È chiaro che è del tutto inaccettabile».
Tesla a questo punto ha citato in giudizio le Poste nazionali - e quindi lo stato svedese - accusando le stesse di aver messo in atto attraverso il blocco delle targhe “un provvedimento discriminatorio per l’azienda, privo di fondamenti legali”. Risultato: un tribunale di contea svedese ha emesso un’ingiunzione temporanea che garantisce al costruttore texano il diritto di ritirare le targhe delle sue auto, offrendo alla società una parziale tregua.
Ma la vicenda non è finita qui. E rischia di avere impatti, per Tesla, anche nel resto dell’Europa. In Svezia, infatti, c’è la Hydra Extrusions , che di fatto è l’unico fornitore per la Gigafactory di Berlino di profilati e altra componentistica. Nei giorni scorsi 50 dipendenti della Hydra Extrusions hanno iniziato uno sciopero che non interromperanno - hanno promesso - fino a quando non verrà messo nero su bianco l'accordo sindacale. A rischio dunque sono i pezzi per produrre nuove Tesla in tutta Europa.