L'appello. Terzo Settore in pressing per completare la riforma
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La riforma del Terzo Settore va avanti ma per non restare a metà strada deve compiere un ultimo miglio. Martedì è stato approvato il decreto correttivo sull’impresa sociale: un via libera in zona Cesarini, visto che la scadenza era fissata per giovedì: «Tiriamo un sospiro di sollievo per questo tassello fondamentale che si aggiunge al completamento della riforma del Terzo Settore. L’impresa sociale rappresenta un modello economico alternativo con un grande potenziale di innovazione sociale e una soluzione, unica nel suo genere, per la costruzione di partenariati tra diversi soggetti mettendo l’economia al servizio della comunità» ha detto Claudia Fiaschi, portavoce del Forum del Terzo Settore che rappresenta 141mila organizzazioni territoriali, 2,7 milioni di volontari e oltre 500mila lavoratori.
Il decreto correttivo apre alle ex Ipab la possibilità di essere annoverate tra le imprese sociali, prevede che il ristorno ai soci non sia considerato distribuzione degli utili e ritocca alcuni aspetti fiscali considerati penalizzanti nella prima stesura. Ma manca ancora un altro pezzo alla riforma: l’adozione di un primo correttivo del Codice del Terzo Settore che preveda, ad esempio, la proroga dei termini per la modifica degli statuti degli enti. Dovrebbe ottenere il via libera entro il 2 agosto. Ma su questo decreto Lega e M5S, con i rispettivi capigruppo i capigruppo Massimiliano Romeo e Stefano Patuanelli, hanno chiesto in commissione Senato una proroga di sei mesi per fare degli approfondimenti. E il Senato, giovedì ha approvato il ddl di proroga, che ora passa alla Camera.
Una mossa che preoccupa il mondo delle associazioni
Il Non profit è preoccupato di un rinvio nei tempi di attuazione della riforma che è stata votata un anno fa e sostenuta in aula anche da Lega e M5S. Il premier Giuseppe Conte nel suo discorso di insediamento alle Camere aveva garantito continuità su questo fronte. «Intendiamo porre in essere tutti i provvedimenti anche correttivi che consentano la piena realizzazione di un’efficace riforma del terzo settore, che sia effettiva anche sul piano delle ricadute fiscali» aveva detto il 5 giugno. Sinora però nulla si è mosso: Luigi Di Maio, nella sua veste di ministro del Lavoro, non ha ancora messo la testa su questo argomento. «C’è una certa urgenza di arrivare alla definizione di alcune norme, la riforma è complessa e lo sarà anche l’applicazione. Ci sono centinaia di articoli, si tratta di un mondo che ha varie sfaccettature e modelli organizzativi, sono state accorpate una serie di norme frammentarie» dice Fiaschi. La vera urgenza è il Codice che descrive le attività, le modalità per la raccolta fondi, le regole per i bilanci e il lavoro negli enti. «Tra i punti che chiediamo di rivedere ci sono il trattamento fiscale, per evitare che le associazioni si ritrovino a pagare di più di quanto finora, il tetto sulle remunerazioni inserito solo per alcune categorie, le forme di auto-finanziamento del volontariato».
Stefano Zamagni, docente di economia politica all’università di Bologna, ex presidente dell’Agenzia delle onlus, spiega che la strada per completare la riforma mancano alcuni punti chiave. «Cinque per mille e servizio civile sono a posto ma sono due i decreti attuativi che ancora aspettano il via libera del governo. Quello sul bilancio sociale, indispensabile perché entro l’anno devono essere redatti i bilanci, e quello molto importante della valutazione di impatto sociale che misura il cambiamento sulla società della azioni svolte da un determinato ente.
Una "certificazione" indispensabile per l’accesso al Fondo sociale di Bruxelles e per i cittadini che vogliono fare delle donazioni che avrebbero così tutte le informazioni necessarie». I due decreti sono già pronti e fermi in commissione da tre mesi. «Sono provvedimenti che non costano nulla e in 24 ore si potrebbero approvare. Ma evidentemente la riforma del terzo settore non è una priorità per il governo che ha deciso di puntare su migranti e decreto dignità» sottolinea Zamagni.
Posizione condivisa anche da Stefano Granata, presidente Confcooperative Federsolidarietà. «C’è stato un iter legislativo molto lungo che ha portato ad un testo condiviso da tutti. Si rischia di far arenare una riforma già pronta solo per una disorganizzazione politica». Un rischio che a questo punto, dopo anni di dibattito e limature, non è proprio ammissibile.