Dalla metà degli anni Sessanta e sino alla fine degli anni Novanta il sogno di tanti immigrati dal Sud ma anche tanti lombardi era un posto fisso nella Silicon Valley lombarda. In quel triangolo della Brianza intorno a Vimercate, dove spuntavano e crescevano aziende ad alta tecnologia. Un mix che appunto ricordava la Silicon Valley americana, come il giornalista Don C. Hoefler aveva battezzato un'area a sud di San Francisco dove le imprese erano tutte orientate alle nuove tecnologie.
Anche qui, nel cuore della Lombardia, locomotiva del boom economico italiano, la produzione guarda al futuro. Qui si progetta, si innova, si guarda avanti. E nel tempo arrivano tante multinazionali del calibro di
Ibm,
Alcatel,
St. E con loro tante medie e piccole realtà. Un settore in crescita che con l’indotto dava lavoro a decine di migliaia di ricercatori, laureati, diplomati, operai. Un esercito di lavoratori con uno forte spirito di innovazione, attento alla ricerca e allo sviluppo. Il futuro appariva roseo. Il lavoro era sicuro. La ricchezza era diffusa sul territorio.
Ma ecco il nuovo secolo, l'alba del terzo millennio. E il sogno di una provincia high tech, di un pezzo d’Italia capace di fare concorrenza a Usa, Cina, Giappone è svanito. Sono spariti le insegne dei grandi gruppi dell’informatica, i ponti radio, i riferimenti alla tecnologia. E con loro, è svanito nel nulla un umano: il lavoro. Quel lavoro che per alcuni decenni ha formato anche migliaia di imprenditori. Una crisi profonda che ha interessato tutto l’hinterland milanese. Che ha portato alla scomparsa della
Nokia a Paderno Dugnano, della
Siemens a Cassina de Pecchi, solo per citare nomi che hanno fatto la storia delle telecomunicazioni.
In Brianza, nel Vimercatese, la prima a lasciare è stata la
Ibm, quella che per decenni è stata la cittadella dell’innovazione, dei computer, la fabbrica che ai suoi dipendenti (negli anni d’oro gli occupati, gran parte ingegneri, sfioravano le 4 mila unità) per anni ha offerto stipendi e condizioni di lavoro “americani”. I primi contraccolpi occupazionali arrivano con la cessione alla canadese
Celestica. Poi è storia di questo ultimo quinquennio. L’arrivo del
gruppo Bartolini, con le due nuove fabbriche, la
Bames e la
Sem. I dipendenti, frattanto si sono ridotti di passaggio in passaggio a meno di 500. Poi lo scorso novembre il fallimento di queste due realtà, con gli ultimi 400 lavoratori costretti all’ennesima Cassa Integrazione in deroga, con lo spettro del licenziamento.
Altra storia, ma stesso risultato finale, nel numero degli occupati, quella
dell’Alcatel Lucent. Negli anni settanta era
Telettra. In quella che era la fabbrica dell’ingegner. Floriani, la numero uno nella ricerca dei ponti radio, era tutta una corsa per entrare a lavorare in questa fabbrica tutta Italiana. Floriani nel 1976 vendette alla
Fiat. Poi ci fu il passaggio all’
Alcatel. Alla metà degli anni Novanta ecco le prime avvisaglie di una crisi che sta svuotando questo sito. Con le quote azionarie passate al gruppo francese tanta tecnologia brianzola è passata di mano e di stato. È poi arrivato il nuovo management
Alcatel Lucent. Anni contrassegnati da un continuo disimpegno verso l'area di Vimercate. Gli attuali mille lavoratori, potrebbero nel breve volgere subire un taglio di 400 posti, soprattutto ricercatori.
L’altro ieri a Vimercate è arrivato l’Ad Michel Combes che ha confermato tutti i tagli annunciati lo scorso autunno dalla casa madre. «L’unica soluzione per uscire dalla crisi che stiamo attraversando – ha detto Combes, incontrando i lavoratori – dove purtroppo ci sono anche nostri errori, è quello di tagliare dove è possibile, per poi ripartire». Un incontro giudicato negativamente dal segretario aggiunto della Cisl di Monza e Brianza Gigi Redaelli. Per la Cisl si tratta di una crisi sì a livello mondiale ma dove «ci sono grosse responsabilità a livello manageriale, ma anche in capo ai vari ministeri romani, che al contrario dei francesi che supportano con interventi economici le nuove tecnologie e investimenti in queste fabbriche strategiche, qui da noi sono troppo frequentemente lasciate sole».
Ma l'elenco delle multinazionali in crisi è ancora più lungo. Ci sono, ad esempio, anche la
Micron ( tagli previsti: 300 posti) e la
Carrier (licenziati gli ultimi 200 addetti).
In tanto grigiore c’è però un'eccezione, che non sembra conoscere crisi. È la
Stmicroelectronics di Agrate. Qui ancora in questi mesi ci sono assunzioni a termine. Ma il sindacato raccomanda prudenza: «La concorrenza si sta facendo sempre più dura a livello mondiale. È una sfida globale. Serve la ricerca, ma anche il governo di Roma dovrebbe fare la sua parte e sostenere le imprese ad alta tecnologia che ancora resistono e fanno ricerca in Italia».