Economia

Energia. Rinnovabili, la Sardegna adesso si divide sulle super batterie

Maria Lucia Andria, Cagliari lunedì 4 novembre 2024

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Le chiamano Bess, acronimo di Battery energy storage system e sono la nuova frontiera della transizione. Tecnicamente sono sistemi di accumulo di energia a batteria, le cui dimensioni variano da un impianto casalingo ad un sistema industriale. All’esterno appaiono come dei grossi container, collocati su basi di cemento, all'interno dei quali si trovano i rack, i moduli che contengono i box in cui sono alloggiate le batterie agli ioni di litio.

I sistemi di energy storage sono essenziali per la transizione energetica: permettono di immagazzinare e rilasciare energia elettrica mediante l’utilizzo di batterie, e così concorrono a stabilizzare la rete elettrica nazionale massimizzando la produzione di elettricità pulita. Il Cif, Climate investment funds, sostenuto anche dall’Italia, ha lanciato un ambizioso programma da 400 milioni di dollari, il Global energy storage program, il più grande fondo al mondo dedicato al supporto dell'accumulo di energia rinnovabile su larga scala nei paesi in via di sviluppo, con dodici progetti già avviati.

Anche l’Italia punta sui “sistemi di accumulo”. Nel Pniec, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, è stato fissato un target di 400 MW per l’accumulo elettrochimico centralizzato e di 700 MW per quello da pompaggio. A seguito dell'ultima asta del Capacity Market 2024 indetta da Terna, la società che gestisce la rete di trasmissione elettrica nazionale, sono già partiti i primi cantieri in diverse Regioni.

Tra queste la Sardegna, dove sono avviati progetti di Bess a Quartucciu, Selargius e Portovesme. Il più importante dovrebbe sorgere alle porte di Cagliari, nell’area tra il carcere di Uta e la Riserva naturale di Monte Arcosu: un accumulatore elettrochimico da 478 megawatt per una capacità di 1.916 megawatt/ora, pari alla potenza di una centrale elettrica. Sul progetto per ora c’è il massimo riserbo. Da quel poco che trapela si tratterebbe di 784 container con una capacità di 36 tonnellate ciascuno, carichi di litio, assemblati nelle aree agricole, che verrebbero espropriate. Nel rapporto sull’andamento delle autorizzazioni del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, disponibile online, si evince che la procedura autorizzativa è tuttora in corso. La società che vorrebbe realizzare nell’isola la più grande batteria al litio in Italia, tra le più grandi al mondo, si chiama Urus Storage.

Rinnovabili sì o no? Minaccia o opportunità? Come spesso accade le opinioni si polarizzano e in Sardegna ormai si parla di speculazione e servitù energetica. La Sardegna, infatti, paga già un prezzo molto alto: la quota di potenza rinnovabile assegnata dal governo è fissata a 6,2 GW entro il 2030. Tuttavia, Terna ha ricevuto richieste per l’installazione sull’isola di impianti eolici onshore, offshore e fotovoltaici pari a 54 GW. Una potenza che supera di circa 10 volte il suo fabbisogno.

Il dibattito non è mai stato così acceso. I sardi temono che la loro terra venga brutalizzata, trasformata in un esportatore di energia. In piena estate sono scesi in piazza, raccogliendo più di 200 mila firme a sostegno di una legge di iniziativa popolare, la Pratobello '24, che si propone di difendere il territorio dal cosiddetto assalto delle rinnovabili. «I sistemi di conservazione Bess sono certamente utili - dichiara il Gruppo d'Intervento Giuridico (GrIG) - ma hanno capienza limitata, occupano grandi spazi, provocano consumo di suolo e l’espropriazione di terreni agricoli. Inoltre, possono causare forti problematiche ambientali sia per eventuali perdite in fase di esercizio sia per le complesse e costose operazioni di dismissione al termine del ciclo vitale dell'impianto. Tutto questo non viene preventivamente valutato nelle procedure di valutazione d'impatto ambientale, che non sono previste per questi impianti. Un grave rischio ambientale e socio-economico in più per la Sardegna».

Un sistema di accumulo è una soluzione complessa e purtroppo i rischi potenziali non mancano. Tra questi, il pericolo di fuga termica, che può causare incendi o esplosioni, il trasporto dei materiali, l'installazione, la manutenzione e un eventuale funzionamento improprio. L’impatto ambientale, in caso di incendio o esplosione può essere forte: i fumi tossici e le sostanze chimiche rilasciate in caso di conflagrazione sono pericolosi per la salute.

La tecnologia è nuova, gli incidenti registrati negli ultimi anni non sono molti, ma alcuni sono stati particolarmente gravi con danni all'asset e alle persone. I più importanti quelli avvenuti all’impianto McMicken in Arizona e al Victorian Big Battery in Australia. È invece rassicurante la posizione di Michele Governatori, responsabile Elettricità & Gas di Ecco Climate, il think tank italiano per il clima. «La diffidenza nei confronti di nuovi insediamenti tecnologici è comprensibile – afferma – ma l’incremento delle rinnovabili e l’arrivo delle batterie avrà comunque un impatto positivo, non solo contribuirà a chiudere le due centrali a carbone dell’isola, dannosissime per il clima e per la salute, ma anche alla riduzione del costo dell’energia per gli abitanti, come prevede la prossima riforma del mercato elettrico. È una tecnologia sicura e affidabile e le norme antincendio vigenti in Italia sono stringenti. Una batteria non produce emissioni a differenza di una centrale a carbone o a gas».

Non si possono spostare le lancette del progresso, percorrere il cammino della transizione energetica è una priorità globale, ma la vera sfida sarà quella di bilanciare il cambiamento e gli interessi economici con la tutela della salute e dell'ambiente.