Economia

Emergenza lavoro. Sulcis in fabbrica dopo 10 anni

Paolo Viana, inviato a Carbonia martedì 24 dicembre 2019

Gli operai sardi incontrano Papa Francesco nel 2013

«Alzati che si sta alzando la canzone popolare… ». Il compagno Pirotto alza il pugno che Ivano Fossati non ha ancora finito la prima strofa. Uno dopo l’altro si sollevano decine di pugni chiusi, in segno di saluto al governatore della Sardegna. Alla festa dell’Eurallumina scorrono le immagini della storica seduta di Giunta. I pugni tesi, i brindisi, il leader degli operai che abbraccia Solinas: solo a rivedere la scena il giovane assessore Gianni Lampis quasi si sente male, lui che ha imposto Fratelli d’Italia a Carbonia, la Stalingrado sarda. Eppure, la festa è anche per il centrodestra che ha salvato la fabbrica. Già, nel Sulcis la classe operaia va di nuovo in paradiso, ma non con chi si aspettava di andarci. Questo sarà un Natale diverso per i dipendenti della fabbrica metallurgica di Portovesme. Basta notti all’addiaccio, termos e striscioni. Dopo dieci anni di fermo impianti, a gennaio si apriranno i cantieri del revamping . Una ristrutturazione impegnativa. Solo dopo si tornerà a produrre un milione di tonnellate di allumina, la materia da cui nasce il metallo più diffuso al mondo. Nella provincia più povera d’Italia riavranno un lavoro in 1.416 (indotto compreso): «Questa terra ha pagato un tributo altissimo alla crisi – spiega don Salvatore Benizzi, responsabile della pa- storale del lavoro della diocesi di Iglesias – e tanti posti di lavoro sono un elemento di speranza, perché il Sulcis ha conservato la cultura industriale da cui è nato». Non c’è da stupirsi, allora, che la politica sia sottosopra, come si dice in miniera. Che la notte del 5 dicembre Solinas sia stato acclamato a Villa Devoto dalle stesse persone che hanno assediato per anni la sede della Regione; le stesse che spaccarono le sedie quando l’industria di Portovesme cessò la produzione, il 13 marzo del 2009; le stesse che il 13 novembre del 2012 hanno respinto gli allora ministri Passera e Barca, venuti a discutere il piano Sulcis. La grande miniera alle porte di Carbonia negli anni Quaranta dava energia al Paese e lavoro a diciassettemila operai. Oggi la bauxite per estrarre l’allumina arriva dall’Africa e la vecchia Carbosarda è un centro culturale. Qui, nei giorni scorsi, la Rsu ha organizzato la festa del revamping . Non si è festeggiato solo il lavoro ritrovato, ma anche un metodo politico. La riconciliazione tra ambiente e industria è stata resa possibile dalla determinazione degli operai e da quella della nuova Giunta, che ha chiuso in pochi mesi un dossier decennale, dalla capacità degli uffici regionali di concludere altrettanto celermente il procedimento di valutazione d’impatto ambientale (via) e dalla disponibilità della proprietà, i russi della Rusal, ad incrementare (+10%) i costi della ristrutturazione, onde rispettare limiti nelle emissioni, anche più restrittivi di quelli previsti dalle norme vigenti. Certo, parliamo del maggior produttore mondiale di alluminio, capace di tener aperta una fabbrica in perdita per dieci anni e spendere quasi 400 milioni di euro per avere un presidio nel cuore del Mediterraneo. Non si respira lo stesso ottimismo nell’altro stabilimento di Portovesme, l’ex Alcoa, venduta nel 2018 da Invitalia agli svizzeri di Sider Alloys; produce lingotti di alluminio ed è schiacciata tra la volatilità dei mercati e le tariffe energetiche, che sull’isola sono mediamente superiori del 30%. L’approvvigionamento energetico è il nodo scorsoio dell’industria sarda. Lo sottolinea Francesco Manca, responsabile della pastorale sociale regionale e assessore regionale con Cappellacci: «Tanto di cappello agli operai, ma non credo che sia possibile tornare a un modello di sviluppo industriale stile anni Sessanta. La dismissione del carbone è inevitabile e avrà un impatto devastante sulla produzione di alluminio: la metanizzazione dell’isola costerebbe un euro per ogni contribuente italiano, le rinnovabili restano un percorso obbligato». Confindustria Sardegna ha chiesto una deroga al phase out del carbone (fissato per il 2025) e la realizzazione della dorsale interna per metanizzare l’isola. Lo prevede l’accordo Stato-Regione del 2016 ma il governo Conte vorrebbe sostituire il gas con un elettrodotto sottomarino dalla Sicilia. «Avrebbe un costo triplo – obietta la Cisl regionale – e per funzionare richiederebbe impianti di generazione termoelettrica. Cioè il metano». Che la partita sia aperta lo ha capito anche la Rusal: in un primo tempo, voleva dotarsi di un impianto di cogenerazione, ora realizzerà un vapordotto per captare l’energia termica della vicina centrale a carbone dell’Enel, ma ha progettato anche una centrale interna a metano, che potrebbe tornare utile con il phase out. L’abbandono dell’impianto a cogenerazione cela però un giallo politico: con quella modifica del progetto, già nel 2018 sarebbe venuta meno la necessità di quella valutazione d’impatto sanitario (vis) che la Giunta di centrosinistra guidata da Francesco Pigliaru ha continuato invece a ritenere indispensabile, negando nel febbraio scorso il via libera al revamping . Dieci mesi dopo, il centrodestra, ottenuti i necessari chiarimenti sanitari e imponendo ai russi un rigido piano di monitoraggio, ha chiuso l’iter della 'via'. Gli operai stanno ancora chiedendosi perché la 'loro' sinistra non abbia voluto riaprire una fabbrica. Intervistato da Avvenire, Pigliaru risponde rivendicando «il lungo lavoro da noi fatto per risolvere numerosi problemi molto complessi, senza il quale oggi non si sarebbe raggiunta una soluzione positiva». Inoltre, l’ex governatore ricorda che a febbraio «l’Ufficio istruttore aveva rilevato 'il persistere di una incertezza, in ordine alla corretta valutazione del rischio ambientale correlato alla componente salute, non adeguatamente presa in considerazione dal proponente'. Per superare questo problema erano necessari approfondimenti e ulteriori analisi che non potevano essere svolte nei pochi giorni a nostra disposizione prima della fine della legislatura». Insomma, si è fatto «il possibile per facilitare il lavoro di chi sarebbe venuto dopo di noi». Sul piano amministrativo, la procedura seguita da Solinas potrebbe diventare un modello per altre ristrutturazioni. Non si può definirla permissiva, se si considerano le 28 pagine di prescrizioni d’esercizio – dai cannoni spara-acqua per abbattere le polveri, alle barriere antirumore – finalizzate alla tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori e dei cittadini. Inoltre, certifica che la ripresa delle attività industriali non comporterà alcun nuovo inquinamento delle acque e del suolo, pur confermando che debbono proseguire le attività di messa in sicurezza e di bonifica dei siti contaminati in passato dai fanghi rossi, derivanti dalla lavorazione della bauxite. La vera vittoria di Pirotto e dei suoi compagni di lotta è questa ritrovata sostenibilità della chimica: «Abbiamo difeso il nostro lavoro – ha detto a Serbariu –, perché, com’è stato dimostrato dalla valutazione sanitaria, non produce più danno né ai lavoratori né alla popolazione, come invece sostenevano ambientalisti incompetenti, che hanno paralizzato il Sulcis per anni». Nessuno, ovviamente, si nasconde la peculiarità della nuova fase politica. Pirotto parla, alla Gaber, di «un periodo di confusione su cosa sia la destra e la sinistra». La sensazione è che nel Sulcis si sia consumato il divorzio tra quel che resta della classe operaia e un centrosinistra sempre più green e anche il sindacato, seppure ufficialmente sostenga i 'Friday for future', a microfoni spenti ti elenca i posti di lavoro perduti in questi anni sull’altare dell’ecologismo.

Il governatore Solinas: «Ora certezze sull'energia»
Quando si potrà definire "fuori pericolo" Eurallumina?
Il futuro di Eurallumina - ci risponde il governatore sardo Christian Solinas - è scritto in un piano di investimenti da oltre 200 milioni di euro che ridarà vita all’industria metallurgica non ferrosa in Sardegna. Noi abbiamo creato tutte le condizioni per riavviare il ciclo di produzione dell’alluminio grazie al lavoro di squadra della Giunta che in pochi mesi ha sbloccato una situazione di grave stallo, accelerando l’istruttoria sanitaria e ambientale, garantendo la sicurezza per la salute dei sardi e la salvaguardia di centinaia di posti di lavoro nel Sulcis.
l revamping di Eurallumina sarà seguito da quello dell’ex Alcoa?
Il riavvio dello stabilimento di Portovesme di Eurallumina ha aperto una nuova fase per la politica industriale della Sardegna. Un cambio di passo decisivo in un percorso strategico che vede il rilancio di un’importante realtà come Sider Alloys, che ha rilevato gli impianti ex Alcoa di Portovesme. Abbiamo subito avviato interlocuzioni nelle più alti sedi istituzionali che stanno portando all’abbattimento del costo dell’energia, condizione indispensabile per favorire anche in questo caso la ripresa della produzione e competitività all’azienda.
Quali sono gli altri stabilimenti del Sulcis su cui lavorare?
Eurallumina ed ex Alcoa sono i due pilastri di un’industria che, giunta dopo anni difficili a un passo dall’estinzione con conseguenze drammatiche per migliaia di famiglie, oggi vede finalmente un futuro positivo. Intorno a questi due colossi deve crearsi un tessuto produttivo moderno, ecosostenibile e attento alle nuove tecnologie, che costruisca un nuovo polo industriale, traino dello sviluppo dell’economia di tutta l’Isola.
Come risolverete il problema dell’eventuale chiusura della centrale a carbone di Portovesme?
È importante dare certezza al nostro sistema industriale sui tempi di transizione del phase-out del carbone previsto per il 2025, che non potrà avvenire prima di dieci anni. L’abbiamo ribadito al Governo in tutte le sedi: per la Sardegna è una questione vitale che non può essere gestita senza tener conto degli svantaggi strutturali che zavorrano il nostro sistema economico. Ma lo sviluppo prevede anche altri scenari. Ad esempio il progetto della Rusal per Eurallumina, che contiene un elemento fortemente innovativo, perché prevede l’autoproduzione attraverso il Gnl (gas naturale liquefatto) dell’energia necessaria per far funzionare lo stabilimento.