Dopo la lunga serie di dati negativi, arriva il primo timido segnale di ripresa per il Meridione, che però continua a non crescere abbastanza e si ferma a un +0,1% del Pil. Investimenti, fiducia e consumi nel Sud stentano a ripartire. E manca soprattutto il lavoro, anche se nel secondo trimestre 2015 si registrano dati più che incoraggianti. Ma fino a pochi mesi fa la crisi ha obbligato migliaia di persone a emigrare nelle regioni del Nord o all’estero. Il risultato è una perdita netta: nel 2014 circa 20mila persone hanno lasciato le regioni meridionali, per un totale di 744mila unità negli ultimi 13 anni. È il quadro che esce dal rapporto annuale dello Svimez, l’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, presentato a Montecitorio. Era stato proprio lo Svimez, a luglio, a lanciare l’allarme sulla crisi economica nel Mezzogiorno che, «alla fine del prossimo cinquantennio, avrà perso 4,2 milioni di abitanti, oltre un quinto della sua popolazione attuale, rispetto al resto del Paese che ne guadagnerà, invece, 4.6 milioni». Secondo l’aggiornamento delle stime, tuttavia, nel 2015 il Pil italiano dovrebbe crescere dello 0,8%, quale risultato del +1% del Centro-Nord e di un «timidissimo» +0,1% del Sud che presenta in ogni caso per la prima volta dopo sette anni il segno «più». Tra il 2001 e il 2014, comunque, «sono emigrati dal Sud verso il Centro-Nord oltre 1,67 milioni di persone, a fronte di un rientro di 923mila unità: il Mezzogiorno ha quindi perso nettamente 744mila unità», sostiene lo Svimez. «Al Sud solo un giovane su quattro e una donna su cinque hanno un lavoro. Dati che non hanno paragone in Europa – ha detto il direttore dello Svimez,
Riccardo Padovani –. Il tasso di occupazione di diplomati e laureati under 34, a tre anni dal conseguimento del titolo, fermo in Italia al 45%, si confronta con una media dell’Ue a 28 del 76%. Il Meridione si colloca in fondo alla classifica». È l’agricoltura del Mezzogiorno, tuttavia, a far segnare il maggior tasso di crescita nelle assunzioni nel 2015 con un aumento record dell’11% dei lavoratori dipendenti, che sale addirittura al 31% se si considerano le sole donne. Mentre nel secondo trimestre del 2015, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il numero degli occupati è cresciuto più al Sud (con 120 mila unità) che al Centro-Nord (con 60 mila unità). Dopo aver tracciato un quadro di luci e ombre, lo Svimez caldeggia misure di sostegno al reddito, definite «non più rinviabili» da Padovani, ossia il «reddito di inclusione sociale e il reddito di cittadinanza». Proprio i dati sui redditi dello Svimez dimostrano, una volta in più, come i cittadini delle regioni del Sud restino i più poveri d’Italia: il 62% di loro guadagna al massimo il 40% del reddito medio di un italiano. Infine, la presidente della Camera,
Laura Boldrini, si è detta preoccupata per «il divario tra Nord e Sud, che si registra in tutti i campi». Inoltre ha annunciato che la Camera si riunirà per discutere della situazione del Sud nei prossimi giorni, appena lo consentirà il calendario. Mentre per il premier
Renzi, da Bogotà, «l’Italia si è rimessa in moto dopo un po’ di difficoltà: torna il segno più anche al Sud, seppur ancora con qualche problema, ed è una buona notizia». «Se è vero come è vero che il compito della Chiesa è quello di infondere speranza – ha detto monsignor
Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, nonché presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e del lavoro, intervenendo alla Camera dei deputati in occasione della presentazione del Rapporto Svimez – è altresì vero che non può esimersi da rilanciare il grido di dolore che da queste terre si alza e di richiedere con forza l’attuarsi di misure evocate e programmate da tempo. Dal Rapporto si evince come nessun Paese è in grado di farcela lasciando indietro una parte dello stesso, così come l’Italia non potrà farcela continuando a lasciare indietro un Sud che si continua a penalizzare anche dal punto di vista infrastrutturale».