Economia

Stellantis. Le auto, l'occupazione, il futuro: ecco il rebus per il dopo Tavares

Alberto Caprotti lunedì 2 dicembre 2024

Carlos Tavares

Più che di dimissioni, si è trattato di un “dimissionamento”. Il comunicato ufficiale con cui Stellantis domenica sera ha “accettato” l’addio di Carlos Tavares non ha potuto – e nemmeno voluto – nascondere la realtà. E cioè che il manager portoghese, dal gennaio 2021 amministratore delegato del Gruppo automobilistico nato dalla fusione tra Fca e Psa, è stato invitato a lasciare il suo incarico con poco più di un anno di anticipo rispetto alla scadenza naturale del mandato per «differenze di vedute» con il Consiglio stesso. Alla base della frattura c’è comunque la situazione fortemente negativa in cui versa Stellantis da mesi.

Al di là della crisi di mercato che riguarda tutti i costruttori, a Tavares viene imputata soprattutto l’errata strategia negli Stati Uniti, dove il Gruppo ha il focus dei suoi numeri e ha accumulato scorte eccessive di veicoli che fatica a smaltire, con il risultato di chiusure di fabbriche, licenziamenti, e un duro scontro con il sindacato Uaw. Nel frattempo il titolo - che lunedì ha perso il 6,3% a Piazza Affari – è crollato in Borsa, passando dai 27 euro dello scorso marzo agli 11,75 attuali. Ora la capitalizzazione di Stellantis ammonta a 34,79 miliardi, -60,4% rispetto a marzo 2024.

Poi c’è l’Italia, dove la produzione di auto è calata del 40% sul 2023 e dove Tavares si è dimostrato incapace di portare avanti un dialogo con il governo e la politica. Hanno fatto il resto l’insistenza nel dare priorità all’elettrico nonostante il rallentamento della domanda, e l’aver isolato il Gruppo rispetto agli altri costruttori riuniti in Acea, l’associazione europea del settore. Nel terzo trimestre 2024 Stellantis ha visto calare del 27% i ricavi, a 33 miliardi di euro, principalmente a causa di un calo delle consegne e di un mix sfavorevole, nonché dell’impatto dei prezzi e dei cambi. I problemi si registrano sulle due sponde dell’Atlantico: -17% in Europa e -36% in Nord America. Percentuali che tradotte in numeri raccontano di 103 mila veicoli immatricolati in meno in Europa da luglio a settembre e 171.000 in meno venduti negli Usa rispetto a 12 mesi fa.

Al di là di qualunque considerazione sull’operato di Tavares, non bisogna dimenticare che il 66enne manager portoghese con un passato dirigenziale tra Renault e Nissan prima del passaggio ai marchi automobilistici che attualmente fanno parte della galassia Stellantis, più che un innovatore o un manager di grandi intuizioni strategiche, come fu invece Sergio Marchionne, è sempre stato considerato un esperto “tagliatore di costi”. Quello aveva fatto ovunque, e anche a Stellantis non si è smentito, fedele al mandato ricevuto dalla proprietà. La tempesta provocata sul mercato dalle conseguenze di una dissennata transizione ecologica voluta dall’Europa, la concorrenza cinese, e il cambio della filosofia della mobilità post-Covid, lo hanno travolto anche più dei suoi concorrenti. Con la differenza che Tavares non ha saputo gestire l’emergenza, e mediare con la politica.

Il caso Italia è emblematico: nel Paese dove nel 2023 Stellantis ha prodotto 751.384 veicoli (56.000 in più rispetto a quelli che escono dalle fabbriche francesi), ora la produzione negli impianti ex Fca è ridotta all’osso, e non ci sono piani concreti per il loro rilancio. Entro il 16 dicembre Tavares avrebbe dovuto presentare al governo, con il quale i rapporti sono pessimi, una piattaforma programmatica concreta e un po’ più confortante del continuo ricorso alla cassa integrazione e alle uscite incentivate di personale. Senza altra strategia oltre a quella di chiedere sussidi al governo (anche con una certa arroganza), nel frattempo la dirigenza Stellantis non è riuscita a evitare il progressivo impoverimento delle gamme appartenenti a marchi storici, come Fiat e Maserati, né (per ora almeno) a rendere attrattive le rare novità di Alfa Romeo e Lancia.

Tavares se ne va con 36 milioni di euro come ultimo stipendio annuale, e una liquidazione che potrebbe toccare i 100 milioni. Lascia in eredità un piano fortemente concentrato sulla mobilità elettrica, in particolare per l’Europa, ma la sua ferma convinzione di proseguire su questa strada potrebbe essere stata vista come un errore imperdonabile da un Cda desideroso di abbracciare una maggiore flessibilità. Come del resto hanno fatto, o stanno iniziando a fare, tutti gli altri costruttori mondiali.
Ora tocca al presidente John Elkann – rimasto senza parafulmine e quindi a sua volta più a rischio che in passato – e a uno specifico comitato scegliere il successore di Tavares. Il nuovo amministratore delegato dovrà rilanciare il mercato, soprattutto in Nord America, e rivedere strategie che finora si sono scontrate con la realtà occupazionali. Il futuro di Stellantis potrebbe passare ora da un nuovo consolidamento. E in questo senso tornano d’attualità le voci di un accordo con Renault, che porterebbe il suo attuale numero uno, Luca de Meo, in cima all’ipotetico mega-Gruppo che si verrebbe a creare.

Il toto-candidati comunque è già iniziato, ma al momento la lista ha troppi nomi per risultare credibile. L’ipotesi del ricorso a un manager esterno e non proveniente dal mondo auto non è esclusa, ma pare più probabile una soluzione interna. Si parla di Jean-Philippe Imparato, ex ceo di Alfa Romeo e attuale ceo di Pro One (la divisione dei veicoli commerciali), oltre che fresco chief operating officer dell’Europa allargata. Altro nome “caldo” è quello dell’italiano Antonio Filosa, attuale Ceo di Jeep, con esperienza in Sud America dove ha raccolto ottimi risultati. Altri possibili candidati interni sono l’americana Christine Feuell, Ceo di Chrysler e Ram, che ha una forte esperienza nella gestione dei brand e potrebbe essere una scommessa per puntare con decisione sui veicoli elettrici e software, oltre al francese Maxime Picat, ex capo di Peugeot e oggi responsabile degli acquisti di Stellantis. Oppure Olivier Francois, figura chiave del marketing globale del Gruppo e attuale Ceo di Fiat e Abarth, che ha grande esperienza e ottimi rapporti sia con John Elkann sia con lo stato francese.