Economia

Debiti. A due anni dal crac lo Sri Lanka è vicino all’accordo coi creditori

Paolo M. Alfieri domenica 16 giugno 2024

Alcune vittime dell'alluvione di inizio giugno attraversa su una zattera le strade della capitale Colombo

C’è chi dice ci sia finalmente una luce in fondo al tunnel in cui è precipitato lo Sri Lanka, dopo il default dichiarato nel maggio 2022 per l’impossibilità di ripagare il proprio debito pubblico. Sostiene il Fondo monetario internazionale, intervenuto con un programma di salvataggio da 2,9 miliardi di dollari per venire a capo della crisi del Paese asiatico, che le riforme macroeconomiche comincino a mostrare risultati e che un accordo con i creditori commerciali stranieri potrebbe essere presto finalizzato. Un elemento di speranza, dunque, ma all’interno di uno scenario socio-economico che resta ancora drammatico per lo Sri Lanka, ritrovatosi in poco tempo da Paese a medio reddito a paria dei mercati internazionali e simbolo, suo malgrado, della crisi del debito che ha poi travolto altri Stati fragili.

È Banca mondiale ad aver certificato, in un recente rapporto, che i tassi di povertà sono continuati a salire per il quarto anno di fila, tanto che a fine 2023 era ormai al 25,9% la quota di popolazione sotto la soglia di povertà. Anche la forza lavoro ha visto un declino, soprattutto tra le donne e nelle aree urbane: micro, piccole e medie imprese continuano a chiudere, mentre le famiglie, nonostante un aumento delle rimesse e un rimbalzo del turismo, sono costrette a indebitarsi per sfamarsi e potersi permettere sanità ed istruzione per i figli.

Certo, si sono attenuate le proteste del 2022, quando la popolazione scendeva in piazza durante la peggiore crisi dal 1948 per manifestare per la mancanza di beni essenziali, tra dimissioni caotiche di presidente e primo ministro, accusati per la loro gestione fallimentare. Ma la crescita economica del 2,2% prevista per il 2024 è ancora insufficiente a risollevare il Paese, in attesa peraltro che il clima politico torni a scaldarsi in vista delle elezioni presidenziali del prossimo autunno.

L’accordo con i creditori commerciali esterni lasciato intravedere dal Fmi e l’implementazione degli accordi di principio con i creditori ufficiali consentirebbero al governo di Colombo di guardare finalmente al futuro con qualche speranza in più e a rilanciare la fiducia degli investitori, rendendo lo Sri Lanka più attrattivo sui mercati. Nei mesi scorsi le autorità avevano rifiutato, per diversità di vedute su molti aspetti tecnici, una proposta di ristrutturazione del debito da 12 miliardi di dollari, mettendo anche a rischio una tranche da 337 milioni di dollari del programma da 2,9 miliardi del Fmi. Per molti analisti, però, quel rifiuto è stato in realtà solo un rinvio prima del raggiungimento di un’intesa e non una rottura. Ci si starebbe muovendo verso una direzione giusta, insomma, anche se il processo è più lento del previsto.

Il debito esterno totale dello Sri Lanka è stimato in 36,6 miliardi di dollari, che includono 10,94 miliardi di debito bilaterale per il quale è stato già raggiunto un’intesa di principio con Cina, India e il Club di Parigi. Le autorità di Colombo devono però anche trovare un accordo con gli obbligazionisti che detengono la maggior parte dei 12,5 miliardi di dollari di bond sovrani internazionali dell'isola. La traiettoria del Paese asiatico resta comunque emblematica di una situazione, legata ad alti livelli di indebitamento, che coinvolge o che ha già coinvolto altri Stati fragili, dal Ghana all’Etiopia allo Zambia.

Riserve estere inadeguate, politiche fiscali inefficienti, svalutazione della valuta, congiuntura nefasta di Covid-19, crollo del turismo, aumento incontrollato dei prezzi di cibo, fertilizzanti e gasolio sono tutti elementi che hanno aggravato la situazione del Paese fino a renderla insostenibile a inizio 2022, con l’impossibilità di pagare sui mercati l’acquisto di beni essenziali. Il caos che ne è seguito, con i manifestanti in strada per settimane, è stato sotto l’occhio di tutti.

Due anni più tardi, nonostante le riforme attuate e i progressi, la situazione è ancora in bilico. A marzo, il governo ha approvato un aumento del salario minimo mensile del 40%, da 12.500 rupie (l’equivalente di 42 dollari) a 17.500. Un modo per sostenere i lavoratori davanti all’aumento del costo della vita e anche un segnale, considerata l’entità dell’aumento, di quanto la crisi economica abbia inciso sulla vita quotidiana della popolazione. L’inflazione, tornata oggi a una cifra, ha infatti toccato anche il +70% a settembre di due anni fa. La trappola del debito, anche nella perla dell’Oceano Indiano, ha lasciato ferite troppo profonde perché si possa pensare a una risalita senza strascichi.