La mossa. Spotify macina utili ma licenzia 1.500 persone
Non “un passo indietro” ma “un riorientamento strategico”. Poco importa che crescano ricavi e utili, grazie all’aumento degli abbonamenti: Spotify taglia la forza lavoro e non di poco, del 17%. Un annuncio che sembra mandare un segnale all’intera industria dello streaming, quella che ha avuto il suo boom, da Netflix in giù, con la pandemia di Covid e che ora sta cercando di capire quale sarà la sua evoluzione e quali strade percorrere in tempi in cui l’economia reale delle famiglie, tra tassi alti e inflazione, fa più fatica. "Per allineare Spotify ai nostri obiettivi futuri e assicurarci la dimensione giusta per le sfide che abbiamo davanti, ho preso la difficile decisione di ridurre di circa il 17% il persone della società", si legge in un messaggio del ceo, Daniel Ek, pubblicato sul sito web del colosso svedese dello streaming, musicale e non sollo. Si tratta di una decisione "difficile ma di un passo cruciale per creare una più forte ed efficiente Spotify nel futuro".
I tagli riguarderanno circa 1.500 persone: si tratta della terza riduzione del personale annunciata da Spotify nel 2023, dopo quella del 6% di gennaio (600 persone) e del 2% di giugno (200). Una scelta che arriva però a sorpresa, considerato un terzo trimestre ben accolto dal mercato, grazie a una crescita dei ricavi e dei sottoscrittori premium superiore alle attese e alla generazione di un utile operativo di 32 milioni di euro. “Mi rendo conto che per molti una riduzione di questa portata sembrerà sorprendentemente ampia, data la nostra recente trimestrale e la nostra performance – ha fatto notare ancora Ek -. Abbiamo discusso di eventuali riduzioni minori nel corso del 2024 e del 2025. Tuttavia, considerando il divario tra il nostro obiettivo finanziario e i nostri attuali costi operativi, ho deciso che un'azione sostanziale per ridimensionare i nostri costi era l'opzione migliore per raggiungere i nostri obiettivi" anche se si tratta di un taglio "incredibilmente doloroso per il nostro team".
Secondo il numero uno di Spotify, "oggi abbiamo ancora troppe persone dedite a sostenere il lavoro e persino a lavorare attorno al lavoro piuttosto che a contribuire a opportunità con un impatto reale" mentre sarebbe "necessario che più persone si concentrino sui risultati per i nostri principali stakeholder: creatori e consumatori". L'adozione di una "struttura più snella ci consentirà anche di reinvestire i nostri profitti in modo più strategico nel business" ora che "la crescita economica ha rallentato drasticamente e il capitale è diventato più costoso". "Questo - ha concluso Ek - non è un passo indietro; è un riorientamento strategico. Siamo ancora impegnati a investire e fare scommesse coraggiose, ma con un approccio più mirato, garantendo la continua redditività e la capacità di innovazione di Spotify", società che prevede di raggiungere 601 milioni di ascoltatori in questo trimestre.
In generale, dopo aver già effettuato molti tagli all’inizio dell’anno, sia le startup che le società del Big tech hanno ripreso a ridurre la loro forza lavoro, con annunci in tal senso arrivati da Amazon e LinkedIn (di proprietà di Microsoft). Quest’ultima, dopo i 700 tagli di maggio, ha appena annunciato altri 650 licenziamenti. Secondo molti analisti, il settore dello streaming, in particolare, da un lato ha sovrastimato l’uso da parte degli utenti di alcuni prodotti e abbonamenti digitali, dall’altro, le imprese, soprattutto quelle più giovani, scontano la stretta sul credito e l’aumento dei tassi di interesse da parte delle banche centrali. Inoltre, sono diminuiti in generale gli investimenti nelle startup e i titoli tecnologici non vivono un buon momento, con gli investitori sempre più cauti nell’erogazione di capitali. Le società tendono quindi a preservare liquidità e a ridurre il personale ritenuto meno essenziale anche a fronte, come nel caso di Spotify, di un momento di mercato positivo. Nel 2023, stando a Layoffs.fyi, si stima che oltre 200.000 lavoratori del settore tecnologico siano stati licenziati, molti dei quali in aziende che si occupano proprio di streaming.