Economia

CRISI. Spagna, le forbici delle regioni su scuola e sanità pubblica

Michela Coricelli sabato 6 aprile 2013
Tagli all’educazione, alla sanità, all’assistenza sociale, agli aiuti per i disoccupati. Si chiamano “recortes” e da tempo ormai i tagli massacrano il welfare iberico, in nome dell’austerità con cui il governo di centrodestra di Mariano Rajoy tenta di combattere il deficit pubblico. In realtà nella Spagna decentralizzata delle comunità autonome, gran parte delle patate bollenti è nelle mani delle amministrazioni regionali: dagli ospedali alle scuole, la gestione e le spese toccano alle “comunidades”. E poiché le regioni sono finite nel mirino del governo centrale – obbligate a mantenere il disavanzo entro un limite prestabilito – se c’è da stringere la cinghia sono loro a doverlo annunciare, incassando valanghe di critiche e proteste.Poco tempo fa a Valencia sono scese in piazza migliaia di persone: familiari di disabili e più in generale di spagnoli bisognosi di assistenza. La cosiddetta Legge sulla Dipendenza – che era stato un fiore all’occhiello per il governo socialista di José Luis Rodriguez Zapatero – è ormai in gran parte congelata: troppo cara, è stata ridotta del 30%. Gli effetti sono stati pesantissimi per decine di migliaia di cittadini in tutto il Paese iberico. Fino a poco tempo fa, Amparo e suo marito ricevevano circa 375 euro di aiuti per il figlio di sette anni, Eduardo, con una sindrome neuro-genetica: ora la regione versa loro meno di un sesto. «Ci hanno lasciato appena 60 euro e senza preavviso», ha raccontato Amparo a El Pais. In un primo momento la sforbiciata è arrivata sotto forma di ticket in funzione del reddito (un fatto inedito in Spagna), ma poi si sono aggiunti altri oneri, l’aumento della previdenza sociale, il pagamento di una parte dei prodotti farmaceutici e la riduzione di sanitari fondamentali, come le carrozzine. Alla fine dello scorso anno la protesta contro i tagli alla Legge sulla Dipendenza è stata nazionale e ha portato per le strade di Madrid 50.000 “discapacitados”: un campione dei quattro milioni di persone che in Spagna convivono con una disabilità. «Ci rifiutiamo di scomparire», gridavano – con grande dignità – i loro striscioni. Secondo il Comitato spagnolo delle persone disabili (Cermi), il 20% dei centri di assistenza sono a rischio chiusura. «Avremo lo stato sociale che potremo permetterci», avvertiva Rajoy nel 2011. La Spagna ha speso più di quello che poteva, ripete il centrodestra (e non solo). Nel budget statale presentato nel luglio del 2012 – e definito dall’opposizione di sinistra come il più grave «attacco» al welfare state dall’inizio della democrazia – la Sanità ha registrato una riduzione del 6,8%, le sovvenzioni alla disoccupazione un 5,4%, l’Educazione un 21,9%. Nella regione di Madrid i camici bianchi del settore pubblico protestano a singhiozzo: le porte degli ospedali e degli ambulatori sono tappezzate da locandine di protesta che ricordano ai pazienti che «la Sanità pubblica si difende, non si vende». Anticipando la ricetta austera di Rajoy (eletto nel novembre del 2011), il primo a sforbiciare a ritmo battente la spesa pubblica (soprattutto medica) è stato il governo nazionalista moderato di Artur Mas, in Catalogna. Al secondo posto, nel ranking delle autonomie più disposte a tagliare costi e servizi, spicca la Castiglia La Mancha.