L'allarme. Sos addetti per tessile e moda
La situazione non è delle migliori. Calano gli addetti, e c’è un deficit di formazione definito molto grave. Ma quel che è peggio, il fatturato della moda italiana crescerà nel primo semestre dell’anno solo dell’1,5%, dimezzando la sua corsa rispetto allo stesso periodo 2018. La stima è di Sistema Moda Italia (Smi) che, facendo il punto sul preconsuntivo del 2018 e le stime 2019, da Milano lancia un allarme a Roma: in cinque anni andranno in pensione 47mila addetti del settore, mentre solo 10mila neodiplomati usciranno dalle scuole professionali. Numeri amari, se si aggiunge che negli anni della crisi, e in particolare dal 2013 a oggi, si sono persi 12mila addetti. Un 'buco' che rischia di diventare voragine, e che l’introduzione di 'Quota 100' finirà con aggravare, con l’emergenza che potrebbe concretizzarsi in un paio d’anni.
Per il presidente di Smi, Marino Vago, proprio 'Quota 100' è stato al centro «di un mio intervento al tavolo con il ministro Luigi Di Maio, da cui ho ricevuto una risposta stizzita ». La federazione che presiede raggruppa 50mila aziende di tessile e abbigliamento, buona parte del complesso delle 67mila imprese di Confindustria Moda. Una realtà che rivendica di essere «un asset strategico che meriterebbe più attenzione», che ha generato l’anno scorso oltre 55 dei 96 miliardi di ricavi della moda italiana (abiti e tessuti, ovviamente, ma anche occhiali, gioielli, calzature e accessori). Il grido d’allarme di Vago non è nuovo (si vedano le preoccupazioni di altri settori 'limitrofi' come le calzature), ma acquista maggiore rilievo all’indomani della presentazione del Def, che ha messo nero su bianco una 'crescita' dello 0,2%. «Che la precedente stima fosse un’utopia l’avevamo detto» ha denunciato Vago. «Non è che ci divertiamo a fare previsioni fosche: se ci ascoltassero, si potrebbero prendere delle iniziative». All’orizzonte si addensano nuove nuvole sulla crescita globale. Il settore teme. Se il 2018 si è chiuso con un aumento dei ricavi del 2,1%, il primo semestre 2019 è partito non bene. E anche l’export, che da sempre traina il settore, è in affanno col fatturato che dovrebbe crescere dell’1,8%, ma senza lo stesso slancio (+2,6%) mostrato nel primo semestre del 2018. Insomma, Smi si allinea alle preoccupazioni del centro studi di Confindustria, che ha elencato i principali fattori da tenere d’occhio in questo periodo: elezioni europee, effetto Brexit, i timori di una recessione dell’Eurozona, soprattutto, le tensioni commerciali Usa-Cina.