Rapporto Censis. Smartworking promosso dagli italiani, ma i consumi vanno a picco
Gli italiani hanno scoperto lo smartworking durante il lockdown e non vogliono più tornare in ufficio. Oltre il 60% di chi lo ha sperimentato vorrebbe farlo diventare una abitudine, almeno nel breve periodo. Per contenere il rischio contagi ma anche come forma di conciliazione tra lavoro e famiglia. Si calcola che durante i tre mesi di lockdown il 40% degli italiani con più di 18 anni abbia studiato o lavorato da remoto, percentuale che sale al 56,4% se si considerano solo i lavoratori. Il rapporto annuale 2020 dell’Istat parla di circa 4 milioni di persone a fronte di una platea potenziale di 8,2 milioni di occupati. L’incidenza è stata del 12,6% a marzo e del 18,5% ad aprile. A fine mese scadrà il decreto del governo che ha "liberalizzato" lo smartworking per via della pandemia, eliminando i vincoli burocratici che prevedevano accordi tra azienda e singolo dipendente. Per gli statali però è già arrivata una proroga sino a fine anno.A fotografare il "gradimento" del lavoro agile è il rapporto Agi-Censis elaborato nell’ambito del progetto «Italia sotto-sforzo. Diario della transizione 2020». Sei italiani su dieci tra quelli che hanno sperimentato pregi e difetti del trasformare la casa in ufficio vorrebbero continuare così. Almeno nei prossimi mesi. La ragione principale è legata alla salute, con un minor rischio di evitare contagi sui mezzi pubblici o in ufficio (32,5%), ma anche riuscire a far quadrare esigenze familiari e lavorative (16,5%) e migliorare la produttività (11,3%). Da misura emergenziale lo smartworking potrebbe diventare un elemento strutturale. Resta da capire quale impatto avrebbe sul sistema economico e sociale del Paese. Un cambio di paradigma che porterebbe sicuramente dei vantaggi, ad esempio sul fronte ambientale con la diminuizione del traffico, ma anche conseguenze pericolose come la desertificazione degli spazi urbani.
«Le relazioni fisiche nei luoghi pubblici sono la vita stessa delle città – si legge nel rapporto Agi-Censis –. La dimensione relazionale è presidio di convivialità, di consumo, di intrattenimento, in ultima analisi anche di sicurezza». Lo smartworking insomma non aiuta i consumi e non solo per quanto riguarda i pasti fuori casa, ma in generale anche per gli acquisti (non a caso si è registrato un boom dell’e-commerce). Le stime per il 2020 sono negative: a rischio chiusura 88 mila imprese nel commercio e 179 mila nei servizi. Secondo le stime Ismea a fine anno si registrerà una perdita di 24 miliardi di consumi. In particolare il canale Horeca (Hotellerie, restaurant e caffè) perderà il 40% del fatturato. Il Censis ha cercato anche di anticipare le intenzioni delle aziende: quello che emerge è la maggior propensione ad adottare lo smartworking da parte delle grandi aziende mentre le pmi hanno maggiori problemi organizzativi.Per i dipendenti pubblici lo smartworking continuerà per tutto il 2020 e poi diventerà "strutturale". In questa direzione va l’emendamento approvato ieri dalla commissione Bilancio della Camera su proposta del M5s che prevede la proroga fino al 31 dicembre del lavoro agile per il 50% dei dipendenti che svolgono attività eseguibili da remoto. Prevista inoltre l’approvazione di un «Piano organizzativo del lavoro agile» (Pola) con il quale questa percentuale salirà al 60%. Per il ministro Fabiana Dadone si tratta di una vera e propria rivoluzione che prevede anche la creazione di un osservatorio che permetterà di programmare al meglio le politiche organizzative delle pubblica amministrazione.