Economia

Inapp. Lavoro agile per un terzo degli italiani

Cinzia Arena mercoledì 26 gennaio 2022

Il lavoro agile è triplicato in due anni

A due anni dall’inizio della pandemia sono più di sette milioni gli italiani che lavorano in smart working, quasi un terzo della forza lavoro. Il 61% di loro lo fa almeno tre volte alla settimana. Da eccezione legata all’emergenza sanitaria il lavoro agile è diventato una abitudine di vita. Con pregi e difetti. La formula "ibrida", con giorni in ufficio e altri a casa, è quella più diffusa mentre si fa strada l’ipotesi di una rivoluzione urbanistica, con i lavoratori che in caso di smart working "perenne" sognano di trasferirsi lontano dalle città, e sarebbero disposti anche a sacrificare lo stipendio pur di vivere meglio.

Prima della pandemia soltanto 2,5 milioni di occupati (pari all'11%) lavoravano da remoto. Nel 2021 sono saliti a 7,2 milioni (e la quota sul totale degli occupati è balzata al 32,5%. sfiorando il 40% nel pubblico). Il 46% dei lavoratori vorrebbe continuare a svolgere la propria attività in modo agile almeno un giorno e quasi 1 su 4 tre o più giorni a settimana. Sono questi i dati emersi dal rapporto «Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori», realizzato dall'Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche pubbliche (Inapp) attraverso l'indagine Plus con un campione di oltre 45mila interviste (dai 18 ai 74 anni) nel periodo marzo-luglio 2021.

Nel 2021 quasi il 50% dei lavoratori era impegnato in modalità agile da 3 a 5 giorni a settimana e solo l'11,6% per un solo giorno. Gran parte del lavoro da remoto si è realizzato su base fiduciaria: solo per il 16,5% è stato frutto di un accordo collettivo e per il 14,3% di un accordo individuale, nel il 37% dei casi non c'è stata, invece, alcuna formalizzazione.«Nel complesso la valutazione dei lavoratori è positiva – spiega Sebastiano Fadda, presidente Inapp – , anche se si manifestano alcune criticità come il problema della disconnessione e dei costi delle utenze domestiche. Da ciò si desume che esiste una base per passare dal semplice lavoro da remoto emergenziale a nuovi modelli di organizzazione del lavoro associati a innovative reingegnerizzazioni dei processi produttivi, ma che bisogna adoperarsi per risolvere le criticità».Molteplici sono state le modalità organizzative introdotte per agevolare e sostenere il lavoro da remoto: dalle piattaforme digitali per le riunioni (introdotte dal 71,5% delle amministrazioni pubbliche e nel 64,4% delle imprese private), alla dotazione di strumenti informatici ai lavoratori (nel 62,1% delle aziende private e il 41,9% della pa). Inoltre, nel settore privato sono state messe in campo varie azioni come la formazione digitale (46,8%), la fornitura di attrezzature ergonomiche (25,7%) e l’erogazione di un contributo ai dipendenti (22,2%).In merito al tema del rischio di connessione continua il settore privato appare più virtuoso, con il 65% dei lavoratori del comparto che dichiara di poter scegliere in modo autonomo quando disconnettersi contro il 50,1% di quelli del pubblico.

Il 55% dei lavoratori esprime un giudizio positivo sull'esperienza complessiva di lavoro da remoto, ma su alcune specifiche questioni emergono criticità: quasi il 64% ritiene che il lavoro da remoto generi isolamento e circa il 60% che non aiuti nei rapporti con i colleghi; in più, per oltre il 60% risulta problematico l'aumento dei costi delle utenze domestiche. Al contrario è decisamente positiva la valutazione sulla libertà di organizzare il lavoro e gestire gli impegni familiari. Oggi la metà delle professioni qualificate può erogare oltre il 50% della prestazione da remoto a fronte di un decimo delle professioni non qualificate. Questa segmentazione è frutto della natura della prestazione. Sono evidenti le diversità che possono emergere a seconda delle dimensioni delle aziende, dei settori e della "intensità tecnologica": di conseguenza non ci possono essere modalità o percentuali fissate a priori. Occorre quindi secondo l’Inapp un quadro di regole-base e poi flessibilità per definire attraverso la contrattazione le modalità che meglio garantiscono la produttività delle aziende e il benessere dei lavoratori. Il lavoro agile apre anche nuove prospettive sul futuro delle città e dei territori. Dallo studio emerge, infatti, che oltre un terzo degli occupati si sposterebbe in un piccolo centro, il 40% si trasferirebbe in un luogo isolato a contatto con la natura. Infine pur di lavorare da remoto in maniera "fissa" un lavoratore su cinque accetterebbe una eventuale penalizzazione nella retribuzione. Il miglioramento nella qualità della vita rappresenta un valore superiorie al dato economico.