Agricoltura. Siccità e caldo nel Sud Italia, così viene rovinata la produzione di grano
Importare grano da Canada e Turchia sarà indispensabile
Acqua e vento fan crescere il frumento: da qualche anno, il proverbio siciliano non funziona più. Anche la campagna cerealicola in corso è compromessa. Dopo una contrazione del 10% delle semine, alte temperature e siccità hanno portato il grano duro al punto di non ritorno in Sicilia e Puglia.
Secondo Anbi, è stato il marzo più caldo di sempre. La pioggia in Sicilia si è dimezzata. Anche l’acqua nei bacini palermitani. Quelli del Tavoliere sono al 58%, la Basilicata al 46%. Giuseppe De Filippo, presidente del consorzio di bonifica della Capitanata, parla di crisi endemica. Nel Foggiano non piove da giugno e l’inverno non è stato freddo come la cerealicoltura richiede. «Se pensiamo che il prezzo dell’energia è triplicato e il prezzo è passato da 57 a 32 euro al quintale, siamo nella tempesta perfetta» commenta.
Quando la pianta del frumento è sottoposta a stress idrico, fa quel che fanno tutti gli esseri viventi: corre, per sfuggire alla morte. Cresce all’impazzata nel tentativo di riprodursi. L’accelerazione della spigatura produce però grani meno sviluppati, semi più leggeri e rese basse. È quel che sta succedendo. «A Pasqua abbiamo avuto punte di trenta gradi. Ci sono zone in cui il grano è giallo già oggi, prima che la spiga si sia riempita: irrecuperabile nel Foggiano, da San Severo a Candela, ma soprattutto verso il mare - spiega il cerealicoltore Giannicola Caione -; solo sul subappennino dauno ci si salva, perché arriva qualche perturbazione dalla Campania». Caione guida il Concer, che riunisce 400 cerealicoltori. Ammassano i raccolti dei loro 25mila ettari e quelli di tanti altri, tra Foggiano e Molise. Coltivano per Barilla e sperimentano 60 nuove varietà con Horta e Crea. Per loro la siccità non è una novità assoluta. Negli anni Ottanta, da queste parti si seminavano due quintali e si raccoglievano sessanta chili. La media dei raccolti, in tempi normali, va dai 30 ai 60 quintali a ettaro. Quest’anno ci si accontenterà di 15, ma senza piogge cospicue si precipiterà a cinque. E nessuno ripagherà l’investimento perché, come spiega Caione, «le franchigie assicurative sono alte».
Soffre anche il grano biologico. Stafano Pirro lo coltiva a Troia: «La situazione mi ricorda il 1982, 1983, 1987. A queste condizioni la pianta va in stress, resta bassa, come la resa, oltre alla difficoltà di lavorare. Parliamo di un anticipo di crescita di circa un mese che ha conseguenze sulla fioritura e sull’allegagione». Alternative? «Chi ha un pozzo, sta irrigando, ma con il prezzo del prodotto così basso può non valerne la pena. Produrre grano bio costa 800 euro a ettaro e conviene – ad una quotazione di 38 euro al quintale – se fai 30 quintali a ettaro, ma se non si raggiungeranno i parametri minimi di peso ettolitrico e proteine si andrà alle quotazioni minori di grano buono mercantile o addirittura mercantile, con una produzione di 15/20 quintali», spiega Pirro, che guida una coop di 90 aziende (Dauni & bio).
Se l’agricoltura piange, l’industria molitoria non ride: «L’Italia produce quattro milioni di tonnellate di grano e ne deve importare 2,5 – dice Vincenzo Martinelli, che guida i mugnai del grano duro ed è vicepresidente di Italmopa –. L’origine è sinonimo di qualità, ma la qualità e la quantità le fa il clima. Se la siccità perdura, rischiamo di scendere tra i 3,2 e i 3,5 milioni di tonnellate. Speriamo che il Canada e la Turchia facciano un buon raccolto, perché importare diventa indispensabile e i dazi sul grano russo mettono fuori gioco un partner importante».
C’è anche chi punta a dare più valore allo scarso prodotto pugliese. Ad esempio, Granoro, che con Dedicato abbandona la scelta monovarietale e seleziona la materia prima locale alzando il più possibile l’asticella di proteine e peso specifico. Gli agricoltori chiedono varietà che producano anche in stagioni siccitose. Unioncamere mette a loro disposizione il progetto Mir, per accelerare il trasferimento industriale della ricerca. Come quella del Crea di Foggia. Ha inventato Seminbio, una seminatrice per il bio - ora sul mercato - che aumenta il rendimento; sta studiando come si possa seminare più in profondità per sfruttare l’umidità del terreno; usa i droni per selezionare le varietà più resistenti allo stress idrico. E ha appena pubblicato le linee guida per applicare l’agricoltura di precisione a tutto il ciclo colturale, con risparmi significativi.
Il responsabile dell’istituto è uno dei massimi esperti di grano duro: «Pluviometro e termometro per ora non ci danno scampo – dice Pasquale De Vita –. Abbiamo avuto gennaio e febbraio caldissimi, più tre gradi al di sopra della media, ed una costante penuria d’acqua. Il 20 maggio, si sovrapporrà la domanda irrigua del grano a quella del pomodoro e saranno dolori». In questi casi, un buon agronomo può tamponare la situazione: «minima lavorazione e semina su sodo - conferma - conservano l’umidità del terreno e permettono di strappare qualche giornata in più alla crisi, ma senza nuove strutture di stoccaggio idrico il problema non si risolverà».