L'intervista. «Si può usare meglio la Cig»
Luca Barbieri, esperto di tematiche giuslavoristiche, consulente di ArlatiGhislandi di Milano
«Le incongruenze normative stanno inibendo e comprimendo la capacità progettuale delle imprese in un periodo cosi incerto e critico. Le integrazioni salariali Covid non sono l’unico strumento per evitare il fallimento delle aziende in difficoltà e il conseguente licenziamento dei dipendenti». Luca Barbieri, esperto di tematiche giuslavoristiche, consulente di ArlatiGhislandi di Milano, è preoccupato.
Che cosa teme?
Un ricorso affrettato alla Cig che non consente di sfruttare tutte le potenzialità. Il legislatore pare navighi a vista, senza creare le condizioni che consentono alle imprese di definire una strategia di ripresa. In questa situazione non vedo una prospettiva di crescita per il tessuto produttivo né per il mercato del lavoro.
Cosa suggerisce allora?
È necessario ideare soluzioni che sfruttino meglio le potenzialità degli strumenti legislativi utilizzati con una programmazione di più ampio respiro per affrontare la crisi.
E come?
Applicando gli istituti giuridici secondo le migliori combinazioni possibili. È in questa prospettiva che si intende promuovere il ricorso al Fondo Nuove Competenze: 250 ore di formazione finanziata per ciascun lavoratore in un frangente di riduzione dell’attività, affiancando le misure di welfare per lo sviluppo delle competenze dei lavoratori, anche per una futura eventuale ricollocazione e coinvolgimento degli enti bilaterali e dei fondi per la formazione continua, dotati di ingenti risorse finanziarie.
Può servire potenziare la Cig?
Attualmente il ricorso alla Cig consente di ridurre l’orario di lavoro o sospendere l’attività, preservando il patrimonio di conoscenze e professionalità rappresentato dai lavoratori. Questa però è solo una parte delle sue potenzialità: perché non sfruttare la flessibilità della prestazione per riorganizzare, modificare e rilanciare l’azienda in modo strutturale? In quest’ottica la Cig rappresenta uno strumento nuovo, che forse avrebbe avuto senso interpretare in modo espansivo e non solo contenitivo, evitando adattamenti e complicazioni anche procedurali che hanno comportato i ritardi dell’Inps. Inoltre, la semplice reiterazione dello strumento – tra un po’ saremo alla quinta proroga – non fa che deprimere lo sviluppo e il cambiamento.
In che senso?
Si dovrebbero ideare e potenziare politiche attive del lavoro che agevolino la ricollocazione dei lavoratori, formando al contempo quelli esistenti. Questa, purtroppo, è la “gamba” che ancora manca al nostro sistema, incapace di accogliere le istanze che emergono sul piano territoriale.
La crisi, però, ha accelerato la digitalizzazione e il ricorso al lavoro agile…
È una digitalizzazione improvvisata, che ha tenuto poco conto della sicurezza informatica. Inoltre, soffriamo ancora i limiti di connettività in molti ambiti territoriali. In questa situazione, e per tacere delle politiche di prevenzione sui luoghi di lavoro, avverto anche una mancanza di etica del progetto, una cultura del lavoro per certi versi arretrata. I fondi europei destinati al lavoro dovrebbero essere usati in una prospettiva di investimento e crescita del nostro tessuto produttivo e non di assistenzialismo. Per questo servono norme chiare, non conflittuali e adatte ai tempi.