LE TASSE SULLA CASA. Senza detrazioni più salato il conto della Tasi
E se alla fine Mario Monti avesse ragione? «Se si toglierà l’Imu, chi governa un anno dopo dovrà metterla doppia»: era il 23 dicembre 2012 quando l’ex premier disse questa frase. Solo dieci mesi dopo ecco che quell’ipotesi evocata comincia a prender corpo nella Tasi, il tributo messo dalla legge di stabilità a carico dei proprietari d’immobili (anche di prima casa) che dal prossimo anno finanzierà i "servizi indivisibili" erogati dai Comuni. Il governo Letta ha assicurato a più riprese, anche nella relazione tecnica depositata in Parlamento, che l’impatto della nuova tassa, pari a 3,7 miliardi, sarà inferiore a quello, sommato, dell’Imu (abolita per quest’anno, anche se resta ancora da "coprire" la seconda rata) più il miliardo aggiuntivo della Tares 2013, per la quale fu decisa una maggiorazione da 30 centesimi al metro quadro che gli italiani dovranno versare a dicembre insieme alla "classica" tassa sui rifiuti.Tutto vero, ma tutto è visto dalla prospettiva del governo e, in particolare, sul piano della copertura finanziaria. Per il contribuente, però, la realtà si delinea in maniera diversa. E l’orizzonte di un esborso più pesante si fa concreto, anche sulle abitazioni principali e soprattutto sulle seconde case (per le quali la stangata è già sicura). Con un’aggravante, diretta conseguenza di quella che è la pecca maggiore nell’impianto del nuovo tributo: la scomparsa della franchigia, a livello nazionale, di 200 euro e della detrazione di 50 euro a figlio, fino all’ottavo (il cui recupero è stato chiesto dal Forum delle famiglie), che hanno escluso dall’Imu quasi 5 milioni di abitazioni. L’aggravante è il rischio di un effetto "regressivo", con un aumento dell’imposizione proprio sulle prime case di valore catastale medio-basso (quindi sui titolari di redditi "leggeri") mentre, all’opposto, si potrebbe alleggerire per quelle medio-alte. In più di un caso, secondo le norme appena varate, avverrà persino che immobili di basso pregio, esentati nel 2012, dovranno invece essere sottoposti a prelievo nel 2014. Questo discorso vale, a esempio, per quasi tutte le case popolari (A/4) la cui rendita media nazionale è di 223 euro. Un prelievo che, per di più, renderà la tassazione per queste categorie persino più cara della vecchia Ici pre-2008: su una rendita di 350 l’euro l’aggravio sarà di 20 euro (56 contro i 36,71 dell’Ici, e i 24 euro dell’Imu 2012).
Peraltro già i numeri della relazione tecnica "camuffano" in parte la verità per le tasche dei contribuenti: il gettito di 3,7 miliardi attribuito all’Imu ad aliquota base (cioè 4 per mille) incorpora infatti i 433 milioni che rappresentavano il costo, per lo Stato, di quegli sgravi per i familiari oggi non più previsti. Senza, però, ecco che i 3,7 miliardi della Tasi - sempre per le sole prime case - "valgono" più dei 3,3 che erano l’incasso 2012 dell’Imu ad aliquote standard (si arrivava poi a 4 miliardi con le aliquote maggiorate fissate dai Comuni). Va poi ricordato naturalmente che la somma Imu + maggiorazione Tares non vale per il contribuente: la prima si è pagata (salvo sorprese) solo l’anno scorso, mentre la maggiorazione Tares è una una tantum per il 2013.C’è anche un altro elemento, decisivo, che rischia di portare a un sorpasso futuro della Tasi rispetto all’Imu: la leva del nuovo tributo sarà ancor più in mano dei sindaci. I quali potranno stabilire sì degli sconti (vedi box in alto), ma avranno anche margini maggiori per pesanti aumenti delle aliquote. E l’esperienza del passato insegna che, stante i cronici problemi di cassa dei Comuni, questa è la via più facilmente seguita. Nel 2012 l’aliquota media si collocò al 4,44 per mille (contro il 4 di base) sulle prime case e al 9,3 (contro il 7,6) sulle altre, secondo il censimento fatto dall’Ifel, fondazione dell’Anci. Quindi pressoché nessuno si avvalse della facoltà, pur concessa, di ridurre invece le aliquote (rispettivamente al 2 e al 4,6 per mille). Ora gli spazi dati dal governo si fanno ancora più ampi: per la Tasi (che sulla carta, secondo le prime elaborazioni della Uil politiche territoriali, potrebbe nella media essere inferiore anche del 57% sull’Imu), l’aliquota sulla prima casa può più che raddoppiare, balzando dall’1 per mille fino al massimo del 2,5 per mille (limite che peraltro vale solo per il 2014; dal 2015 la libertà di manovra sarà ancora maggiore); sugli altri immobili, invece, la tassazione cumulata potrà arrivare fino all’11,6 per mille (cioè un ulteriore 1 per mille, quello dell’aliquota di base del nuovo tributo, in aggiunta al 10,6 oggi stabilito come massimo per l’Imu "ordinaria" che per questi immobili - lo ricordiamo - si paga anche nel 2013). Rispetto al 9,3 di media del 2012, quindi, i sindaci avranno a disposizione un margine di ben 2,3 punti.
Sono appunto questi spazi, già usufruiti in passato, che hanno fatto parlare alcuni osservatori, fra cui Confedilizia, di un possibile gettito-boom: potrebbe anche superare i 31 miliardi di euro, per l’insieme di tutti gli immobili, rispetto ai 23,7 fatti "mungere" da Monti nel 2012. Certo, non tutti i Comuni sceglieranno in automatico di aumentare al massimo le aliquote. Ma non c’è dubbio che la "potenza di fuoco" messa nelle loro mani sia più forte rispetto al passato. Riusciranno a evitare la tentazione di farvi ricorso?
A navigare di sicuro in cattive acque saranno i proprietari di seconde case. Il massimo dell’11,6 per mille sarà applicato nei 978 Comuni che già hanno in vigore il 10,6 per l’Imu: fra essi, ci sono 48 capoluoghi fra cui Roma, Milano, Bologna, Napoli, Firenze, Venezia, Torino, Bari. In queste città, per una casa con rendita di 500 euro, l’aumento secco sarà a esempio di 80 euro (l’1 per mille). Una spremitura che sarà aggravata dal ripristino dell’Irpef al 50% sulle case tenute sfitte e solo in parte mitigata dal fatto che, in quelle affittate, gli inquilini contribuiranno fra il 10 e il 30% alla Tasi. Con buona pace dell’annunciata volontà di far ripartire il mercato immobiliare.