Gig economy. Salta l'accordo nella Ue sui rider. Decisivo lo stop di quattro Paesi
La protesta dei rider a Milano dopo lo stop alle nuove norme Ue
Alla fine è saltato anche l’accordo di compromesso. Non solo: con ogni probabilità per l’adozione di nuove norme che impediscano il lavoro autonomo fittizio per gli addetti della gig economy bisognerà attendere la prossima legislatura, perché con le elezioni europee all’orizzonte i tempi per un nuovo trilogo non sembrano proprio esserci. Arriva una nuova fumata nera in Europa per la cosiddetta “direttiva sui rider”. Era già accaduto nel dicembre scorso, quando lo stop arrivato dai 27 aveva costretto le istituzioni comunitarie a un supplemento di trattativa, che si era poi conclusa positivamente. Inoltre il testo era uscito già ridimensionato nel corso degli iter negoziali delle ultime settimane. Dall’intesa tra istituzioni europee annunciata lo scorso 8 febbraio, infatti, era già sparito l’elenco dei cinque criteri per presumere il rapporto di subordinazione e per far scattare, purché ne sussistessero almeno due, l’obbligo di assumere il lavoratore. Non è servito neanche il tentativo di rendere il testo più “morbido”. Ieri è arrivato lo stop pure a questo provvedimento “indebolito”. A comunicare la decisione è stata la presidenza di turno Ue del Belgio. Gli ambasciatori dei 27 – riuniti nel Coreper (il comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri) per dare il via libera all'intesa sulla direttiva rinegoziata dieci giorni fa tra le istituzioni Ue – non hanno trovato la maggioranza qualificata che serviva.
Decisiva la contrarietà di quattro Paesi – Francia, Germania, Grecia e Estonia – che hanno annunciato la loro astensione, formando quindi la minoranza di blocco. L'Italia ha votato a favore del testo. A non convincere Parigi già nel dicembre scorso erano in particolare i criteri per le riqualificazioni dei lavoratori da autonomi a dipendenti. Un passaggio che, nella visione del governo francese, sarebbe troppo «automatico». La delegazione spagnola – assieme a quella bulgara – ha rimarcato che avrebbe avuto un testo più ambizioso, pur assicurando il suo voto a favore. «Il voto della delegazione spagnola risponde a un esercizio di responsabilità dato che un’ampia maggioranza di Stati membri, i gruppi politici del Parlamento europeo e i sindacati europei sostengono la proposta. Il Parlamento europeo e i sindacati europei sostengono l’accordo provvisorio. Tuttavia, la delegazione spagnola desidera dichiarare che ci sono disposizioni nel testo concordato che non rispondono pienamente a quello che, a nostro avviso, avrebbe dovuto essere il contenuto della direttiva», si legge in una dichiarazione della rappresentanza di Madrid.
«Sfortunatamente, il requisito della maggioranza qualificata non è stato trovato», spiega dal canto suo la presidenza belga che ora considererà «i prossimi passi» da compiere per non affossare definitivamente la direttiva. Sembra inevitabile, tuttavia che, come se fosse un gioco dell’oca, il dossier sia destinato a tornare alla casella di partenza. Una beffa che avviene proprio quando il traguardo sembrava vicino, visto che la direttiva sarebbe dovuta approdare entro aprile all’Eurocamera per la ratifica finale. « Francia, Germania, Estonia e Grecia hanno voltato le spalle a 30 milioni di lavoratori tra i più vulnerabili e sfruttati al mondo. Una decisione incomprensibile – commenta Elisabetta Gualmini, europarlamentare del Partito democratico e relatrice per il Parlamento europeo della direttiva sui lavoratori delle piattaforme –. Il Parlamento europeo ha una maggioranza larghissima e approverà il testo in prima lettura mentre i governi si prenderanno le proprie responsabilità».
Secondo alcune stime, i lavoratori che svolgono attività da dipendenti ma non sono regolarizzati come tali sarebbero almeno 5,5 milioni nei Paesi dell’Ue. Non a caso, l’obiettivo primario della direttiva è (anche se a questo punto sarebbe più corretto scrivere “era”) inquadrare i rider come dipendenti e non come autonomi sulla base di alcune condizioni (dalle divise tutte uguali alla fissazione di orari di lavoro, fino al dato che le performance siano monitorate da un algoritmo). Insomma, l'Unione europea voleva evitare che chi è soggetto al controllo e alla direzione delle app e degli algoritmi delle grandi piattaforme del cibo a domicilio fosse considerato un lavoratore autonomo. La direttiva prevedeva anche che qualsiasi decisione sul licenziamento di un rider non potesse dipendere dall'intelligenza artificiale ma che andasse sottoposta al controllo umano. Tutte tutele rinviate a data da destinarsi.