Salone di Ginevra. Sostanza e sogni: l'Italia risale in macchina
Un particolare della nuova Jeep Renegade ibrida, presentata in prima mondiale a Ginevra
C’è tanta Italia nell’unico Salone dell’automobile che, a dispetto di defezioni e scetticismi, continua a resistere per esistere. È l’Italia di Fiat, che toglie il velo alla Centoventi, la novità concettualmente più importante e insieme l’idea più intrigante vista negli ultimi tempi. È l’Italia della splendida Tonale, Suv compatto destinato a fare ancora più e meglio della Stelvio per risollevare il morale e i conti di Alfa Romeo. È l’Italia della Ferrari F8 Tributo, roba di nicchia s’intende, ma sempre molto d’effetto. E – solo in parte, vista l’anima ormai completamente americana di Fca – è anche l’Italia di Jeep, che attacca finalmente la spina a Renegade e Compass.
Le prime elettrificate del Gruppo per il mercato europeo arriveranno a inizio 2020, in clamoroso ritardo rispetto al resto del mondo. A meno che non si valuti per buona la versione di Mike Manley, il nuovo Marchionne, che ha ormai sdoganato le batterie ma non ritiene di aver perso alcun treno perché le auto con la scossa rappresentano appena il 2% del mercato mondiale. Non si è mai in ritardo cioè se all’appuntamento non c’è nessuno, o quasi, ad aspettarti. Corretto, forse. Perchè intanto l’automobile corre e Mercedes, tanto per fare un nome, qui a Ginevra ha appena presentato non la prima e nemmeno la seconda, ma la terza generazione dei suoi propulsori ibridi. Loro non sono solo pronti per la rivoluzione, l’hanno già in tasca. E presto si vedrà chi aveva ragione.
L’edizione 2019 del Salone che si chiude oggi ha offerto un’anteprima chiara di quello che potrebbe essere lo scenario dei prossimi dieci anni. Si parla solo di elettrico, si vede solo ibrido, impazza il plug-in, ma le auto vere, quelle che fanno numeri veramente, da usare soprattutto in città e che si comprano perchè funzionano senza l’incubo di trovare una presa di corrente e aspettare che si riempiano, esistono ancora. Si chiamano Peugeot 208 e Renault Clio, le due anteprime mondiali in contemporanea più attese. Piccole, come il trend del momento impone, economicamente accessibili, moderne nella loro tradizionale antichità: la 208 però sarà da subito anche elettrica. Anche, appunto. Ma gasolio e benzina nel loro serbatoio resistono stoicamente. E questo conforta non poco.
La svolta della scossa però pare inevitabile. Ma lo ha insegnato Charles Darwin: non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento. Ecco perchè l’applauso qui lo meritano Fca, con Fiat Centoventi, e Seat (Gruppo Volkswagen) con Minimò, due prototipi pensati per risolvere due problemi in contemporanea: le dimensioni e il costo delle batterie, assieme alla necessità di fermare i veicoli per la ricarica.
Per la city car torinese sono stati ipotizzati moduli da 100 km di autonomia, da ampliare fino a 5, per consentire con costi accettabili di adeguare la vettura alle effettive necessità dell’utente. In Minimò, ideato essenzialmente per i servizi di noleggio, le batterie si staccano e si ricaricano indipendentemente dal mezzo, così da garantire sempre la piena mobilità con una sosta di pochi minuti nella stazione di servizio del futuro.
Impossibile assicurare che arriveranno davvero sul mercato, difficile sapere quando. Ma, soprattutto nel caso di Fiat, siamo di fronte ad un clamoroso segnale di vitalità, una risposta concreta, leggermente visionaria forse ma intelligente di un marchio che non può permettersi di inseguire la Tesla (ma nemmeno i grandi costruttori premium) sul loro stesso terreno, se non con la forza di un’intuizione.
Il mercato intanto tiene le gomme in più scarpe, preparandosi a scenari che sa immaginare ma non quantificare. E sterza dagli argomenti che fino a poco tempo fa sembrava cavalcare con sicurezza. Tra ciò che è esposto al Salone, ad esempio, sono quasi del tutto scomparsi i modelli a guida completamente autonoma. Non solo per l’allungamento dei tempi di sviluppo e per la contemporanea lentezza con cui i legislatori adeguano le normative a questa nuova tipologia di veicoli, ma soprattutto per gli enormi costi che si dovranno sostenere per mettere sul mercato auto capaci di guidare realmente da sole.
Il delta prezzo per un veicolo autonomo di livello 5 (quello in cui si può lasciare il volante e mettersi a fare altro) è nell’ordine dei 200mila euro, somma da aggiungere evidentemente a quella dell’auto. Uno sproposito anche per chi potrebbe teoricamente permetterselo. E per l’impossibile nessuno, per fortuna, ha più voglia di attrezzarsi.