«Se si riapre la discussione, allora abbiamo pronte parecchie proposte». L’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi (Pdl) avverte il governo e gli "alleati" Pd e Udc: «Serve una buona riforma del lavoro, se dovesse emergerne una sbagliata, allora meglio sarebbe lasciar perdere e aspettare il nuovo Parlamento».
Sui licenziamenti la proposta del governo va corretta o è meglio non modificare l’equilibrio raggiunto?Cominciamo col dire che l’esigenza di un completamento della riforma del mercato del lavoro era stata indicata da tutte le istituzioni sovranazionali per far crescere la propensione ad assumere delle imprese. Da noi infatti, anche negli anni migliori, il tasso di occupazione è rimasto relativamente più basso. In questo quadro, il governo ha presentato una proposta che noi – come tutte le parti sociali tranne la Cgil – avevamo accettato quale punto di equilibrio. Se si pensa di riaprire tutta la discussione, allora noi abbiamo molte proposte di modifica da presentare.
Ad esempio, sui licenziamenti?Definire meglio e limitare i poteri del giudice, per non incentivare l’attitudine a una certa "creatività" ideologica di molti nella magistratura, per dare maggiori certezze alle imprese, perché sono le certezze a far superare la paura di assumere. E applicare l’arbitrato.
La riforma ha previsto anche molte limitazioni alla flessibilità in entrata. Chiederete di modificarle?L’apprendistato dovrebbe rimanere quello disegnato dal governo Berlusconi e sul quale si registrò il consenso unanime delle parti sociali e delle Regioni. Un sistema più semplice, che assegna centralità alla formazione in azienda. Vorremmo poi che le Partite Iva non fossero penalizzate, ma anzi incoraggiate quali forme di auto-impiego. Laddove ci sono abusi, come si verifica in edilizia, si può operare con strumenti come la "patente", già disposta da una legge, che assicura una verifica preventiva. È possibile invece cancellare le collaborazioni a progetto. Ancora, dobbiamo evitare di penalizzare il part-time, perché rappresenta uno strumento fondamentale per la conciliazione tra famiglia e lavoro.
Ma si può arrivare a un risultato condiviso dopo decenni di scontro ideologico fortissimo? O al dunque questa strana maggioranza si spaccherà?La maggioranza può trovare un compromesso se ricorda di essere non una "grande coalizione" tradizionale ma di avere in comune la volontà di dare quelle risposte che gli altri Paesi europei si attendono da noi. Anche prescindendo in qualche misura dagli interessi di parte. L’emergenza infatti non è finita, l’illusione è durata poco e come si vede le tensioni sui mercati sono già riaffiorate.
Sì, ma se dovesse fare una previsione: la riforma andrà in porto o no?Io confido nella responsabilità delle grandi forze popolari. Il prezzo della non-riforma sarebbe alto. Ma aggiungo pure che il prezzo di una riforma sbagliata sarebbe ancora più alto, perché consegnerebbe all’esterno l’idea di un’Italia ancora rattrappita dal suo Novecento ideologico, all’interno il messaggio negativo di un radicato pregiudizio verso l’impresa. E questo porterebbe le aziende a scappare e gli investitori esteri a restar lontani. Allora meglio sarebbe lasciar perdere e aspettare la nuova legislatura.
Con una "buona" riforma, invece, si può far crescere l’occupazione?Se verrà realizzata con equilibrio tra flessibilità e sicurezza dei lavoratori, grazie anche ai nuovi ammortizzatori, sarà il completamento di quanto previsto nel Libro bianco di Marco Biagi, che per primo disegnò un mercato del lavoro più inclusivo, fluido, con più opportunità e tutele. In questo caso sì, potrebbe aiutare l’Italia ad agganciare la ripresa con più occupazione. La nostra idea è quella di un’economia sociale di mercato, nella quale l’impresa è vissuta come una comunità di interessi e di valori, nella quale si condividono obiettivi e risultati solidalmente , ma si sta insieme finché ci si riconosce e ci si accetta. E chi deve transitare ad un altro lavoro trova poi nel territorio-comunità tutele che non lo lasciano solo.
La riforma delle pensioni è stata drastica. Troppo?La riforma è stata eccessiva nel cancellare la transizione, perché l’approdo dell’innalzamento dell’età era già fissato. Bisogna pensare non solo ai numeri ma alle persone alle quali si applicano le misure e dunque va trovata una soluzione per quanti, in buona fede, hanno sottoscritto accordi per l’uscita dalle aziende contando di andare a breve in pensione e ora si trovano nel mezzo, senza tutele.
Appoggerete dunque un provvedimento di deroga per queste persone, forse 350mila?Certamente. E servirà anche una più robusta protezione in particolare per le donne "anziane" con 55 e più anni. Di colpo, infatti, si sono trovate a dover andare in pensione a 66-67 anni e sono al tempo stesso tra le fasce più a rischio di espulsione dal mercato del lavoro. Presenteremo poi una proposta di legge per incoraggiare il risparmio previdenziale anche verso le gestioni obbligatorie.
Bastano le riforme economiche o serve altro in quest’anno che manca alle elezioni?Occorre che la legislatura non si concluda senza aver approvato definitivamente la legge sul fine vita che avevamo indicato come una priorità e che è giunta alla terza lettura in Parlamento. Come ci ricorda sempre il presidente della Cei, una corretta e positiva dimensione antropologica è la base sulla quale edificare tutte le altre politiche sociali ed economiche. C’è un nesso forte e dobbiamo ricordarlo.