L'allarme. Per i ristoranti un conto da 21 miliardi
Di certezze non ce ne sono. Né sui tempi né sui numeri. Ma per ristoranti, pizzerie, pasticcerie e bar ogni giorno che passa la situazione diventa più pesante dal punto di vista economico. Il turismo, uno dei settori trainanti, che rappresenta il 13% del Pil italiano, rischia di essere travolto dall’epidemia mondiale. E anche i consumi interni, quando si tornerà alla normalità, saranno frenati dalla crisi economica. Il quadro per la Fipe, la Federazione nazionale dei pubblici esercizi che riunisce 300mila attività, è abbastanza nero. Il settore della ristorazione, in base alle ultime stime su un lockdown che prosegua sino all’11 maggio (due mesi dalla chiusura totale decretata dal governo Conte), avrà una perdita di 21 miliardi di euro, quasi un quarto del fatturato annuo. Il vicepresidente Luciano Sbraga, che è anche il presidente del Centro studi, è preoccupato soprattutto per la stagione estiva che sarà "a scartamento ridotto". «Il turismo straniero sarà inesistente come quello congressuale e fieristico, anche quello interno sarà compromesso dalla difficile situazione economica, le famiglie saranno impoverite e bisognerà capire quale tipo di spostamenti sarà concesso. Purtroppo le ultime stime sul Pil sono drammatiche: Prometeia ha previsto una contrazione del 6,5%, nel 2009 in seguito alla crisi economica era stata del 4,9%».
Sino ad oggi si sono viste solo misure tampone, come lo spostamento in avanti dei pagamenti. «Chiediamo al governo interventi significativi, bisogna immettere liquidità al sistema altrimenti molte attività saranno costrette a chiudere» spiega Sbraga. «Il problema non sono tanto i mancati guadagni quanto le spese che continuano ad esserci. Faccio solo un esempio: gli affitti, una questione al momento non affrontata. Per un locale in centro a Milano o a Roma si può arrivare sino a 10-15 mila euro al mese. Altra questione il pagamento delle tasse locali come la tassa di occupazione del suolo pubblico e la Tari: sarebbe logico sospenderle se i ristoranti sono chiusi. Al governo chiediamo non solo uno slittamento del pagamento delle tasse ma un "ristoro" delle perdite reali e l’accesso al credito a tasso zero». Insomma una sorta di bonus come quello per gli autonomi che consenta alle aziende di resistere. Per quanto riguarda i posti di lavoro al momento la previsione è di uno stop per quelle 250 mila assunzioni a tempo (giuridicamente non si tratta di lavoro stagionale ma di fatto lo è) che vengono fatte ogni anno tra il mese di marzo e quello di luglio.In questo quadro di paralisi per alcuni ristoratori l’unico modo per continuare e restare attivi è stato il "trasloco" verso il food delivery. Alcuni si sono organizzati in proprio, trasformando i camerieri in fattori, con consegne a domicilio zonali.
«Una scelta fatta soprattutto per non perdere clientela in futuro, una sorta di servizio di cortesia» spiega ancora Sbraga.Le stime del Fipe per quanto riguarda i ristoranti tradizionali (non le catene di pizzerie e fast food o di cibo etnico) è che accanto ad un 5-6% che già era attivo come food delivery un altro 11% si sia attivato in maniera sperimentale. In questa direzione va l’accordo, sottoscritto dalla Fipe con The fork, l’app per la prenotazione dei ristoranti più usata in Europa, che offre la consegna gratuita per tutto il periodo dell’emergenza Covid-19 ai ristoranti partner della piattaforma. Il trend è testimoniato anche da Deliveroo secondo il quale nel mese di marzo si sono verificate un 40% di adesioni in più alla piattaforma rispetto alle previsione. «Il che non significa che le consegne sono aumentate – ci tiene a precisare l’azienda che ha all’attivo 92mila locali in tutta Italia –. In realtà dopo un crollo verticale del settore adesso la situazione è migliorata. Ai ristoranti offriamo un servizio di marketing e di gestione del servizio di delivery».
Le piattaforme per la consegna del cibo a domicilio – la prima è stata Glovo – hanno deciso di ampliare il servizio portando a casa la spesa alimentare, in un momento in cui le principali catene di supermercati (Esselunga e Carrefour in testa) hanno avuto grossi problemi a rispondere al boom di richieste on-line. Per i rider la situazione resta comunque difficile: il lavoro scarseggia, la gente ha paura anche ad ordinare il cibo da asporto, e solo dopo una serie di proteste le multinazionali hanno deciso di riconoscere un bonus di 25 euro per l’acquisto di mascherine e gel disinfettante. «In strada ci sono solo stranieri – dice Angelo di Milano Deliverance – chi ha potuto, vista anche la riduzione del lavoro e del guadagno, è rimasto a casa». Dagli ambulanti arriva invece un appello: «Usate noi per le consegne, visto che fiere e mercati sono stati bloccati». Da qualunque punto la si inquadri, l’emergenza coronavirus costringe a cambiare prospettiva.