Ricerca. Il grande potenziale per la ripresa del lavoro, 26 milioni di inattivi
Tra gli inattivi soprattutto donne e giovani
L’Italia ha almeno quattro milioni di occupati in meno rispetto alla media europea, un enorme spreco di capitale umano da cui potrebbe attingere: ben 26 milioni di lavoratori inattivi, di cui il 60% donne (quattro su dieci concentrati nel Sud e nelle Isole), oltre cinque milioni di giovani. Complessivamente (considerando anche i pensionati), non lavora e non è in cerca di occupazione quasi metà della popolazione, un’anomalia tutta italiana che ci pone ai primi posti in Europa, aggravata nell’anno del Covid-19, perché nel 2020 l’inattività nella fascia 15-64 anni è cresciuta del 3%. Un “arcipelago” molto diversificato, che va da giovani impegnati negli studi ad anziani che percepiscono la pensione (statisticamente inattivi, ma con un giustificato motivo), passando da Neet, giovani che non studiano e non lavorano, casalinghe alle quali mancano servizi di supporto per affacciarsi al mercato del lavoro, ex lavoratori, possessori di un sussidio che le politiche attive non hanno intercettato. Vere e proprie “isole”, una diversa dall'altra, perché l’inattività comporta un certo grado di separazione delle comunità sociali.
Alcuni italiani sono inattivi per scelta, perché hanno deciso di dedicarsi allo studio, ad un periodo “sabbatico”, alla gestione della famiglia, perché il lavoro e la retribuzione offerta non sono considerati accettabili o perché possono vivere con una pensione o un sussidio. Altri per forza, vittime di eventi traumatici o scoraggiati dall’attesa di una transizione, dallo studio o dalla disoccupazione, al lavoro. Nello specifico, l’arcipelago degli inattivi è costituito da 5,2 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni, 3,6 milioni di uomini 30-69 anni, 7,1 milioni di donne 30-69 anni e 9,9 milioni di over 70. È la fotografia di Ripartiamo da 26 milioni di inattivi, il rapporto di Randstad Research, il centro di ricerca sul lavoro promosso da Randstad, che ha analizzato questa anomalia italiana per esplorarne il futuro possibile.
«Quello degli inattivi rappresenta un problema storico e di difficile soluzione per l’Italia, ma anche un potenziale straordinario per il lavoro e per la crescita sostenibile - spiega Daniele Fano, coordinatore del Comitato Scientifico Randstad Research -. La sfida va affrontata da più lati. Per cominciare, occorre ridurre il mismatch tra domanda e offerta, per cui le aziende non riescono a reperire le risorse umane di cui hanno bisogno. In senso più ampio, è necessario potenziare le competenze di studenti e lavoratori italiani che, fatta eccezione per alcune aree di eccellenza, si trovano al di sotto delle medie europee ed internazionali: un lusso che non ci possiamo permettere nella “società della conoscenza e della transizione al circolare” dove tutte le professioni a tutti i livelli richiedono di combinare intelligenza umana e intelligenza artificiale. E poi, come ci ha insegnato il Covid con i medici richiamati in servizio pandemia, anche chi è in pensione può essere nuovamente coinvolto magari per periodi limitati o in part-time, per dare un contributo prezioso alla società».
La geografia degli inattivi. Considerando la popolazione oltre i 15 anni, sono 26 milioni gli inattivi in Italia a fine 2019 (scelto come periodo di riferimento dell’analisi per non scontrarsi con gli effetti della pandemia). Di questi, quasi il 40% è concentrato nel Sud e nelle Isole (10,2 milioni), il 24,5% nel Nord-ovest, il 19% nel Centro e il 17,3% nel Nord-est. Se metà della popolazione italiana è inattiva, impressiona il dato del meridione dove la quota raggiunge ben il 58% della popolazione. Analizzando l’età degli inattivi, la quota maggiore di 11 milioni di persone si trova nella classe di età centrale dei 30-69 anni, composta soprattutto da lavoratori “scoraggiati”; dieci milioni sono over 70 pensionati; i rimanenti 5,3 milioni appartengono alla classe dei più giovani. In Italia le donne sono il 60% degli inattivi. Una netta maggioranza comune in tutta Italia, senza particolari differenze regionali. Nel confronto internazionale, il problema dell’inattività grava in maniera speciale sull’Italia: nell’Europa a 28 siamo il terzo paese (dopo Turchia e Montenegro) per percentuale di inattivi sulla popolazione tra i 15 e i 64 anni, 8,4 punti percentuali più della media europea (25,8%). Ancora più impressionante il dato sulla popolazione femminile: con il 43,2% di donne inattive sulla popolazione 15-64 anni, siamo 12 punti in più rispetto alla media Eurostat (terzi dopo Turchia e Macedonia).
Le zone dell’arcipelago. Per analizzare lo spaccato degli inattivi Randstad Research ha suddiviso l’arcipelago in diverse zone di età. Quella dei giovani 15-29 anni è composta da sette isole, più o meno grandi: ci sono 2,6 milioni di occupati, 821mila disoccupati, ma soprattutto 4,2 milioni di studenti e un numero rilevante di Neet: 1,2 milioni. Solo un numero limitato di studenti lavora (79mila) o è in cerca di occupazione (51mila) La zona delle donne in età lavorativa tra i 30 e i 69 anni comprende nove isole. Le occupate sono 8,6 milioni e le disoccupate 769mila, ma poi ci sono le inattive: le casalinghe sono 4,5 milioni, le pensionate 2,5 milioni, le studentesse 75mila. Con tutte le intersezioni tra questi insiemi: solo 95mila casalinghe sono in cerca di occupazione mentre 31,9mila sono anche lavoratrici, mentre 2,7mila studentesse lavorano e 2,6mila sono in cerca di occupazione. La zona degli uomini tra i 30 e i 69 anni ha otto isole: la più grande è costituita da occupati (11,6 milioni), inferiore quella dei disoccupati (822mila), ma tra gli inattivi si contano pensionati (2,8 milioni), casalinghi (81mila) e studenti (56mila), con i sottoinsiemi di 3mila studenti in cerca di occupazione e 965 studenti lavoratori, 2mila casalinghi lavoratori. Nella zona degli over 70 la grande maggioranza sono i pensionati (9,7 milioni), ma si contano anche 2,4 milioni di casalinghi, 4mila studenti e 303 disoccupati.