Economia

CHIESA E SOCIETÀ. Restauro, le nuove regole che ignorano la Regola

Lucia Bellaspiga domenica 20 dicembre 2009
Alle dita delle Benedettine di San Giulio, minuscola isoletta del Lago d’Orta, da un quarto di secolo vengono affidati arazzi e ricami di inestimabile valore, che le monache riportano agli antichi splendori prima di restituirli a sovrintendenze, musei, chiese di tutta Italia e non solo. Così come per le mani delle suore di Viboldone è passato nientemeno che il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci, per essere sfascicolato, restaurato e ricomposto con la competenza che un tale patrimonio pretendeva. Eppure - potenza della burocrazia - le nuove norme europee, che richiedono un esame per accedere all’abilitazione di "restauratore", potrebbero mettere fine all’attività pluridecennale, se non secolare, di religiosi e religiose di tutta Italia: soprattutto quelli di clausura, ovviamente impossibilitati a sostenere i concorsi di abilitazione e conseguire così i "requisiti professionali richiesti". Un pezzo di carta contro la più riconosciuta delle esperienze.Un paradosso tanto evidente che - i diretti interessati ne sono certi - alla fine una soluzione sarà trovata. «E se così non fosse, vorrà dire che smetteremo. Con grande dolore, ma senza tragedie: il nostro lavoro parla per noi, ma noi siamo altro e continueremo ad esserlo», fanno sapere dal monastero "Mater Ecclesiae" di San Giulio, senza un accenno di polemica. Eppure (come Avvenire ha già denunciato con un’inchiesta pubblicata il 9 dicembre scroso) a rischio potrebbe essere la sopravvivenza di intere comunità religiose, che proprio sui segreti e le tecniche del restauro tramandate di generazione in generazione basano la professionalità e pure buona parte del loro sostentamento. «È importante sottolineare, però, che il danno più grande lo subirebbero non gli ordini religiosi ma proprio il nostro patrimonio nazionale - nota l’architetto Carlo Capponi, responsabile dell’Ufficio dei Beni culturali della diocesi di Milano, la persona da cui dipendono, per intenderci, tutti i beni delle parrocchie e degli istituti religiosi del territorio -. Mi viene un brivido a pensare che, secondo le future norme, chi ha maneggiato il Codice Atlantico o arazzi fragili come carta velina non avrebbe più il permesso nemmeno di restaurare una rivista di cinquant’anni fa, mentre avrebbero il "patentino" persone con le carte in regola ma nessuna esperienza alle spalle».Già, perché va detto che quella del restauratore è una figura che si forma "a bottega", non certo sui libri, e la cui competenza non potrebbe essere certificata da un test a risposte multiple stile scuola guida, come appunto quello europeo. «Penso ad esempio alle Romite Ambrosiane del Sacro Monte di Varese, che da oltre 40 anni trattano pezzi di grande valore storico... Il restauro è una forma di altissimo artigianato, e non è un caso se proprio le suore raggiungono in questo campo risultati di eccellenza - continua l’esperto -: è un lavoro che richiede molto tempo, tanta pazienza, e un continuo passaggio di consegne nelle tecniche di intervento. Oltre a una predisposizione al gusto della bellezza e alla vita contemplativa». Se per decenni le sovrintendenze e lo stesso ministero della Cultura hanno affidato loro i capolavori più preziosi un perché, dunque, c’è, eppure secondo le nuove norme (che dovevano entrare in vigore dal primo gennaio 2010 ma grazie a una proroga slitteranno di qualche mese, come spiega il box accanto) proprio le suore, che in buona parte sono di clausura, dovrebbero uscire e mettersi in "regola". «Tra l’altro sono in buona compagnia - sottolinea Capponi - perché milioni di restauratori che hanno studiato in Accademie e scuole d’arte fino a oggi abilitate, si trovano con niente in mano, dato che solo quattro scuole di Stato in tutta Italia rilasceranno d’ora in poi la qualifica necessaria per operare». Senza quella, non si potranno più ricevere lavori di restauro da enti pubblici e soggetti privati senza scopo di lucro (cioè dalle chiese e da tutte le Fondazioni come ad esempio il Fai, Fondo per l’Ambiente italiano). Tanti i paradossi, altrettante le lacune: gli ordini religiosi in passato hanno operato senza mai pretendere alcuna autorizzazione scritta («allora non era necessario»), così oggi non possono dimostrare nero su bianco le attività svolte, mentre le imprese edili, che grazie ad altre leggi già valide all’epoca si erano trovate a richiedere le autorizzazioni, ora avranno i titoli per definirsi "restauratori". Altro esempio: le scuole di Stato non sono in grado di valutare gli organari, cioè le figure capaci di restaurare gli antichi strumenti musicali presenti in chiese e cattedrali, «e per questo non è previsto il relativo esame abilitante... Li si lascerà cadere a pezzi?». Succede. Quando la burocrazia è cieca.