Il rapporto. Che cosa serve all'Africa per guadagnare dalla globalizzazione
Anche in tempi di golpe nel Sahel, cambiamenti climatici e conseguenze della guerra in Ucraina, l’Africa ha il potenziale per capovolgere a suo favore, e trasformarle in opportunità, le tante difficoltà a cui sono andate incontro negli ultimi tempi le catene di fornitura globali. Materie prime e capitale umano rappresentano due asset fondamentali del continente nero, ancorché oggi le prime siano preda di appetiti stranieri e bande armate locali e decine di milioni di giovani africani manchino di formazione adeguata. Ciononostante, l’Africa può costituire un anello nuovo per la diversificazione della catena globale delle merci, sfruttando le tecnologie e offrendo a imprese e industrie un nuovo mercato regionale e un formidabile motore per settori come quello dei semiconduttori o dell’automotive. A sottolinearlo, in un nuovo rapporto, è la Conferenza Onu per i commerci e lo sviluppo (Unctad), secondo cui lo sviluppo economico del continente nero è strettamente legato all’opportunità di agganciare il continente alla produzione e alla movimentazione dei beni a più alta capacità tecnologica.
L’Africa, sottolinea lo studio, possiede un abbondante disponibilità di materie prime con importanti possibilità di utilizzo nei settori dell’elettronica, dell’energia, dell’automotive. Sono necessari, però, accordi più equi tra gli Stati locali e gli investitori, soprattutto per minerali e metalli utilizzati nei comparti ad alta tecnologia. Ciò consentirebbe anche di sviluppare un maggior numero di industrie locali e di migliorare la capacità delle imprese locali di disegnare e fornire parti e componenti utili per la catena di fornitura. I termini diseguali di molti contratti minerari e delle licenze di esplorazione hanno portato molti governi africani – al momento 17 - a rivedere gli accordi finora in vigore, con l’obiettivo di uno sviluppo più sostenibile e inclusivo per le proprie popolazioni. In Zambia, solo per fare un esempio, i fornitori stranieri contano ancora per il 96% di beni e servizi legati all’esplorazione mineraria, una cifra abnorme.
Va migliorato, peraltro, lo stato delle infrastrutture del continente, al momento altamente deficitario. Al tempo stesso, crescono nel continente tecnologia e innovazione: dai 442 hub tecnologici attivi nel continente nel 2018, si è passati ai 618 del 2019. Un ecosistema in grado di attrarre investitori e imprese e che ha il potenziale per creare lavoro e aumentare i redditi. Altro fattore importante, secondo lo studio Unctad, sarà la diversificazione dell’economia africana, che dovrà rendersi così più resiliente agli choc globali. Nondimeno, ci sono materie prime come il cobalto e il manganese, di cui l’Africa possiede il 47-48% delle riserve globali, su cui il continente è chiamato a puntare, perché materiali cruciali per la transizione verde globale, allo stesso modo del litio e di altre terre rare. L’Africa, però, da semplice fornitrice di queste materie prime dovrà sempre più arrivare a fornire prodotti intermedi o, in alcuni casi prodotti finiti, per creare valore e inserirsi al meglio nelle catene di fornitura globali. L’Unctad, tra i settori su cui potenzialmente investire, cita i prodotti farmaceutici, i pannelli solari, i telefonini, l’industria dell’automotive.
Cruciale sarà poi la distribuzione, settore in cui la performance africana nel 2018 era molto più bassa (2,47) rispetto alla media globale (2,87), secondo la Banca mondiale. È fondamentale, per l’Unctad, che i Paesi africani investano in infrastrutture “pesanti” (strade, ponti, porti, ferrovie, ecc.) che riducano i costi della logistica nella catena di fornitura. Nell’intero continente sono operativi meno di 70 porti, un numero largamente insufficiente. Vari accordi commerciali stanno facendo da incentivo per il miglioramento di questo aspetto, come l’Accordo africano per l’area di libero scambio, che ha il potenziale per migliorare enormemente l’integrazione regionale e continentale e stimolare i commerci. Altri accordi come quelli con gli Stati Uniti o di alcuni Paesi africani con la Cina hanno gli stessi obiettivi. Il risultato può essere l’inserimento del continente africano in un percorso nuovo, fatto di un’integrazione sempre maggiore con l’economia globale che rifiuti la logica imperante di un’Africa semplicemente depredata delle sue materie prime e sempre più invece protagonista del suo sviluppo.