Economia

Misure anti-crisi. I quattro pilastri del piano salva Europa

Cinzia Arena venerdì 10 aprile 2020

L'accordo c’è, ma le distanze restano. Un piano di interventi da 500 miliardi fondato su quattro pilastri in parte ancora da “progettare” è il compromesso a cui sono giunti, dopo giorni di tensioni e dibattiti fiume, i ministri dell’Economia nel corso dell’Eurogruppo di giovedì. Adesso il testo passa al vaglio del Consiglio europeo, formato dai leader di governo, che si terrà il 23 aprile. L’accordo rappresenta una mediazione su come intervenire per arginare la crisi economica: potrebbe sembrare un miracolo diplomatico, in realtà è solo una bozza nella quale manca un pezzo importante del puzzle, cioè gli eurobond, fortemente voluti dall’Italia ma respinti da Olanda e Germania. Non compaiono nel testo, ma non vengono esclusi del tutto. Potrebbero rientrare in gioco in virtù di quegli “strumenti innovativi” previsti dal fondo per la ripresa o Recovery plan (da finanziare con altri 500 miliardi di euro).

Intesa raggiunta invece sull’altro scoglio, il Mes, il Meccanismo europeo di stabilità o fondo salva– Stati: interverrà come prima arma di difesa, e non avrà condizionalità se i Paesi lo useranno per le spese sanitarie. Tra dieci giorni la palla passerà ai premier dei 27 Paesi membri. «Convocherò la videoconferenza del Consiglio europeo per il 23 aprile» ha annunciato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, definendo l’accordo «una svolta importante». «Con questo pacchetto senza precedenti ci assumiamo insieme il peso di questa crisi. Questo compromesso punta ad un sollievo veloce e mirato». Soddisfazione è stata espressa anche dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha assicurato che l’esecutivo «risponderà alla richiesta per un’azione decisiva attraverso un recovery plan e un quadro finanziario pluriennale rafforzato». Per il commissario Paolo Gentiloni l’accordo è un primo passo ma «Il Fondo per la rinascita è la prossima sfida». Il ministro delle Finanze olandese Woepke Hoekstra invece è convinto che gli eurobond non si faranno: «C’è una maggioranza contraria. È stato fatto questo testo che è deliberatamente vago».

Sono quattro gli strumenti su cui si fonda l’intervento della Ue. Il primo è il Fondo Salva Stati che è stato rispolverato in una versione “light”, vale a dire senza i parametri stringenti imposti in passato, ad esempio in occasione del salvataggio della Grecia. Il nuovo Mes potrà fornire aiuti attraverso una nuova linea di credito (Pandemic credit line) per la quale sono stati previsti 240 miliardi di euro che non avrà condizionalità se verrà usata per affrontare le spese sanitarie, dirette e indirette, legate alla crisi Covid–19. I Paesi potranno richiedere fino al 2% del loro Pil, per l’Italia circa 35 miliardi. Ma il premier Conte ieri ha ribadito che non intende attivarlo. Le speranze italiane di arrivare all’emissione degli eurobond sono riposte in quel Recovery fund, proposto dalla Francia. I ministri lo hanno descritto come «un mezzo per fornire fondi attraverso il bilancio Ue. Sarà temporaneo e commisurato ai costi straordinari della crisi e aiuterà a spalmarli nel tempo attraverso un finanziamento adeguato». Ma quale sarà questo finanziamento è presto per dirlo: saranno i leader a stabilire cifre e modalità. Dovrà essere pronto quando si affronterà la ripresa, quindi tra qualche mese. Per l’Italia questa finestra temporale rappresenta una possibilità per fare pressing sull’emissione di una quantità limitata di titoli europei.

Pieno accordo invece sugli altri due punti del programma, quelli meno “politici”. Il programma Sure è un fondo europeo da 100 miliardi contro la disoccupazione. Il Fondo, attraverso 25 miliardi di garanzie volontarie degli Stati membri, proporzionate al loro Pil, permetterà di finanziare le “casse integrazioni” nazionali. Raccoglierà risorse sui mercati emettendo un prototipo di eurobond che darà poi ai Paesi che ne hanno bisogno prestiti con scadenze a lungo termine. L’ultimo intervento riguarda la creazione di un fondo da 25 miliardi da parte della Banca europea per gli investimenti, che servirà a garantire prestiti alle imprese per 200 miliardi di euro. Risorse che si aggiungono agli altri 40 miliardi di euro di prestiti mobilitati dalla Bei a marzo. L’intervento è stato valutato positivamente ma sarà probabilmente insufficiente pensando ai danni che la chiusura prolungata sta provocando alle imprese più piccole. �