Tendenze. Quando i robot sono amici dell'uomo
Studiosi ed economisti a confronto a Firenze
L'innovazione tecnologica non si può fermare. Ci sono robot che guidano automobili e che possono sostituire le persone nelle attività lavorative più faticose. Ed esiste un’intelligenza artificiale amica dell’uomo. Questo il messaggio che esce dalla lezione per gli studenti fiorentini organizzata dall’Aiia (Associazione Italiana Intelligenza Artificiale) ieri mattina presso l’Università degli Studi di Firenze. Anche se è evidente che sono molti i lavori che scompariranno (un particolare accenno a quelli della Pubblica Amministrazione), non serve essere negazionisti e bisogna affrontare il cambiamento. «Questi allarmismi sono sospetti - spiega Anna Pettini, presidente del corso di laurea in Scienze politiche dell’Università di Firenze -. Del resto l’invenzione della stampa, la rivoluzione industriale e l’avvento dell’automobile hanno cambiato molte cose. Stiamo vivendo una crisi che non è ciclica, ma di sistema. Uomo e robot rappresentano la metamorfosi di un'alleanza che deve guardare a tre temi fondamentali: la distribuzione della ricchezza e la giustizia sociale; lo sviluppo sostenibile attento anche alle implicazioni ecologiche; la felicità intesa come il benessere delle persone. Tecnologia ed economia devono contaminarsi per educare buoni cittadini che siano anche più produttivi, ma nel rispetto dell'etica e non esclusivamente del profitto. La ricerca di base può servire alla costruzione di questo nuovo equilibrio se comincia a contaminare i vari settori della conoscenza».
Amedeo Cesta, presidente dell’Aiia, invita a «battersi perché le macchine siano un sostegno dei più deboli e non solo strumento per i più ricchi».
Siamo partiti dalla macchina che vinceva l’uomo a scacchi per arrivare alle automobili senza autista, la tecnologia cosiddetta avanzata è vicina alla magia. Per Piero Poccianti, vice presidente dell’Aiia è tempo di pensare attentamente a cosa cerchiamo: «Ne avevamo già parlato l’anno scorso nell’evento Robot, Amico o Nemico: lavoriamo, parliamo, digitiamo, dunque siamo? Quest’anno ci siamo concentrati sulle soluzioni, perché molti economisti suggeriscono che il modello capitalistico, portato alle sue estreme conseguenze da un liberismo senza freni, non funziona più».
Il tema dell’impatto economico e sociale dell’intelligenza artificiale è stato protagonista dell’evento fiorentino organizzato dall’Aiia, insieme con l’Università degli Studi di Firenze (Dipartimento di Scienze per l'Economia e l'Impresa) con la media partnership di Media Duemila, la prima rivista di cultura digitale italiana.
Alcuni studi di rilevanza internazionale evidenziano criticità nell’utilizzo di nuove tecnologie capaci di sostituire, con varie percentuali, lavori oggi svolti dagli umani. In particolare la nuova “primavera” dell’intelligenza artificiale ci ha consentito di creare applicazioni capaci di imparare da sole e realizzare compiti finora appannaggio solo di persone con competenze elevate (medici, avvocati, consulenti finanziari eccetera) oltre che quelle che svolgono compiti ripetitivi (ma che necessitano comunque di capacità decisionali, come gli autisti, muratori eccetera).
Lo studio di Acemoglu e Restrepo (2017), infatti, stima che già oggi negli Usa ogni robot in più per 1.000 lavoratori riduce il tasso di occupazione dello 0,18-0,34%, e la paga oraria dello 0,25-0,5% (dati 1990-2007). I robot producono ma non consumano.
È evidente che, in un modello economico che punta alla massimizzazione del profitto, strumenti di questo genere potrebbero portare a una crisi da disoccupazione senza precedenti. Crisi già in atto che si innesta in un periodo di forti tensioni sociali, politiche, economiche e ambientali.
Le previsioni fanno tendere al pessimismo, in Giappone, infatti, una compagnia di assicurazione ha licenziato 34 impiegati per sostituirli con Watson (intelligenza artificiale Ibm). Una ricerca del World Economic Forum stabilisce che entro il 2020 oltre sette milioni di lavoratori saranno sostituiti da robot o programmi intelligenti. Il report redatto nel gennaio del 2016 e intitolato Technology at work: V2.0, afferma che il 35% dei lavoratori in Inghilterra sono a rischio di essere rimpiazzati dall’automazione da qui al 2025, il 47% negli Stati Uniti, con una media nei Paesi Ocse del 57%. In Cina il rischio raggiunge il 77%.
Il messaggio è chiaro, secondo tutti i relatori intervenuti i cambiamenti sono in atto su molti fronti, non solo su quello economico e tecnologico ed è urgente reagire. Per farlo bisogna creare alleanze. In primis servono sinergie fra le diverse discipline per analizzare il modello attuale e attuare soluzioni. Inoltre dicono gli esperti che è ora di allearsi con le macchine perché aiutano a misurare, ipotizzare i cambiamenti e suggerire soluzioni. In fondo le macchine non esisterebbero senza la creatività e l'ingegno umano.
L'innovazione italiana ha anche un suo peso. Conta 119mila attività (+1,4%). Con 44mila imprese che si occupano della produzione di software e consulenza informatica, circa 23mila di architettura, ingegneria, collaudi e analisi tecniche, 22mila di commercio tramite internet, 10mila di telecomunicazioni mentre le crescite maggiori si registrano nei settori della fabbricazione di robot industriali (+9%) e nella ricerca scientifica e nel commercio al dettaglio tramite internet (+5%). Milano e Roma sono al comando con oltre 13mila imprese, seguite da Torino terza con 6.529, Napoli quarta con 5.407 e Brescia quinta con 2.578. Superano le 2mila attività anche Bari, Bologna, Firenze, Bergamo, Padova, Genova e Monza. Tra le prime 20 a crescere di più sono Napoli (+4%), Vicenza e Monza e Brianza (+3%). Ammonta infine a circa 21 miliardi di euro l'anno la spesa italiana in ricerca e sviluppo: con 11 miliardi investiti dalle imprese, circa sei dalle Università, tre dalle istituzioni pubbliche. Per un settore che impiega 247mila addetti a tempo pieno, di cui un quinto in Lombardia, prima regione, e oltre un decimo in Lazio, Emilia Romagna e Piemonte.