Il caso. Quando domanda e offerta non si incontrano
Spesso le aziende italiane non riescono a trovare il profilo adatto. Difficoltà di reperimento dovute a carenze di formazione o di esperienza da parte di tanti giovani, che a volte rinunciano a stipendi di tutto rispetto. Il Sistema informativo Excelsior, che Unioncamere realizza in collaborazione con il ministero del Lavoro, aveva perfino previsto che una assunzione su cinque tra quelle che le imprese avevano in programma nei primi tre mesi del 2017 poteva comportare qualche problema. Dopo una fase in cui la difficoltà di reperimento si era mantenuta relativamente bassa (nel 2016 ha interessato il 12% delle assunzioni totali), torna quindi alla ribalta il problema del non sempre facile incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro nel settore privato.
A raccontare questa problema anche il giornalista e sondaggista Klaus Davi, che sta conducendo una inchiesta sul made in Italy. Davanti alle telecamere ha raccolto lo sfogo di tanti imprenditori. Per esempio Alessandro Canonico Barberis, ad dell’omonimo colosso tessile biellese da oltre 150 milioni di fatturato. È il più antico lanificio Italiano, con 1.300 clienti, tra cui tutto il gotha delle griffe e delle sartorie di lusso. I loro tessuti sono stati indossati da Gianni Agnelli, George Bush è Hu Jintao: 13 generazioni e un archivio storico dei tessuti di tendenza, dall’800 in poi. Eppure fanno fatica a trovare informatici su piazza. Sembra incredibile che, in un Paese con il tasso di disoccupazione del 40%, ci possano essere giovani che rinunciano a impieghi specializzati che li porterebbero a guadagnare molto. «Noi a volte - spiega l'ingegnere Canonico Barberis - vediamo che ci sono stipendi tecnici di primo ingresso, tipo informatici che partono da 3000 euro al mese netti. Stiamo cercando informatici, perché sviluppiamo i nostri software all’interno. E non riusciamo a trovarli. E partiamo da cifre di quel livello, anche più alte, come primo impiego, perché è difficile trovare un programmatore capace, bravo sul territorio, disposto a venire in questo settore e a raggiungerci a Biella». Già i nostri figli ormai irretiti dalla tecnologia arretrano davanti al termine manifatture: «Spaventa il manifatturiero e, secondo me, non è solo un problema nostro. Se uno parla di marketing, comunicazione e vendite, diciamo che è molto più trendy. La vecchia tintoria sporca, di macchinari in cui le lavorazioni si facevano a mano, oggi non esiste più. Oggi praticamente c’è gran parte dell’automazione. Questa è l’immagine che forse noi dovremmo cercare di trasmettere ai ragazzi, a cui è rimasta probabilmente l’immagine dei loro genitori. Risultato? Nei prossimi cinque anni il 20% della forza lavoro andrà in pensione. Sul territorio ci saranno 2mila figure carenti, che andranno formate. L’Unione Industriale si è già attivata per far fronte a questo problema».
Quella dell'ad biellese non è una voce isolata. Dello stesso avviso è l’industriale marchigiano Giovanni Fabiani, a capo dell’omonimo colosso delle calzature: «Questa è la generazione di Facebook e dei telefonini. Ho provato a inserirne diversi nelle nostre fabbriche. Il lavoro passa cosi: per loro non sembra cosi fondamentale. Orlatura. Tagliatura? Specializzazioni che non interessano. Il problema è generazionale, perché se questi ragazzi non cambiano testa, anche noi potremmo in un futuro persino chiudere».
Sulla stessa linea Rodolfo Zengarini, ceo dell’omonimo gruppo che produce scarpe per grossi brandi come Cavalli e Blumarine: «La generazione di Zuckerberg sarà tecnologicamente ferratissima sulle nuove tecnologie, ma ha sempre lo sguardo fisso sull’orario di lavoro. Ed è grazie anche alla politica, che alimenta illusioni e magari le finanzia, che si coltiva il disprezzo per l’artigianato. E questo è il risultato».
Conferma anche Bachisio Ledda a capo della compagnia di posta privata City Poste Payment : «I ragazzi italiani? Per loro fare i postini è una bestemmia. Vogliono creare tutti le start up, magari finanziate dalle regioni, che buttano soldi pubblici in imprese che al 70% falliscono - come dimostrano i dati ufficiali - e lasciano chiudere, senza battere ciglio, le aziende che invece producono ricchezza. Questa è l’Italia».
«In questo mio viaggio in circa 200 aziende - racconta Klaus Davi - mi sono accorto che il problema del lavoro è spesso causato da carenze formative da parte dei giovani, che spesso pagano il caos gestionale e normativo del nostro sistema scolastico e universitario. Devo dire, però, che l'alternanza scuola-lavoro e il Jobs act stanno andando nella giusta direzione. Finalmente mondo accademico e mondo imprenditoriale dialogano. Anche Garanzia giovani ha un buon impianto: in alcuni regioni ha permesso l'inserimento di tanti ragazzi e ragazze. Resta ancora molto da fare nella formazione di personale specializzato che copra il fabbisogno delle nostre piccole e medie imprese».
Proprio per cercare di ridurre questo divario, recentemente Unioncamere e Anpal (Agenzia nazionale politiche attive del lavoro) hanno siglato un protocollo d’intesa in cui si impegnano a progettare e sviluppare applicazioni in grado di informare utenti e operatori dei Centri per l'impiego sulle opportunità di lavoro, sulle imprese ad alta potenzialità occupazionale, e di offrire guide personalizzate on line sull'orientamento formativo.
Sull’aumento della difficoltà di reperimento incide soprattutto il consistente numero di assunzioni di profili qualificati, che rappresentano il 22% del totale delle assunzioni programmate (erano il 17% nel 2016). In questo ambito, spicca la richiesta di tecnici. La domanda di figure intermedie riguarda invece il 40% delle assunzioni previste (15% per i profili impiegatizi e 25% per quelli del commercio e dei servizi). La richiesta di profili operai interessa inoltre il 24% delle assunzioni, mentre quella riguardante il personale non qualificato è del 13%.
Le maggiori difficoltà di reperimento riguardano le professioni specialistiche (40%), quelle tecniche
(quasi il 30% del totale) e gli operai specializzati (25%). Al top di questa graduatoria si trovano gli ingegneri, architetti e figure assimilate, difficili da reperire nel 56% dei casi. Seguono i dirigenti (53%), gli specialisti in scienze fisiche e naturali (49%), gli specialisti della salute (46%) e gli specialisti in scienze economiche e gestionali di impresa (41%). Come per le difficoltà di reperimento, anche la richiesta di esperienza, determinante per il 66% delle assunzioni, presenta una graduatoria crescente con l’aumentare del livello professionale richiesto: dal 50% per le figure non qualificate si passa progressivamente al 95% per quelle dirigenziali. Quote molto elevate, attorno al 76-77% del totale, vengono indicate dalle imprese delle costruzioni, dei servizi dei media e della comunicazione e dei servizi turistici e della ristorazione.
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