Siderurgico. Quale acciaio per l'ex Ilva
Lo stabilimento di Taranto
Un piano in stand-by, pronto a partire con un’impronta sostenibile ancora più marcata rispetto alla versione precedente ma messo in "freezer" finché non arriverà la pronuncia del Consiglio di Stato sull’area a caldo. La riconversione green dell’ex Ilva deve attendere. Il governo vuole conoscere i tempi e le decisioni della giustizia prima di procedere con il maxi-progetto siderurgico. "Dobbiamo aspettare il Consiglio di Stato e vedere carte alla mano cosa succede – spiega il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani –. Io ho fatto un piano che prevedeva di togliere il carbone all’altoforno, elettrificarlo, passare subito al gas in modo da abbattere la CO2, sperando di essere velocissimi sugli ulteriori passaggi all’idrogeno. Se però non si potrà andare avanti, io questa cosa la dovrò fermare".
Il futuro dell’Ilva, insomma, è sospeso. E il piano B, se il processo di riconversione dovesse saltare, non sembra conoscere alternative alla chiusura dell’acciaieria più grande d’Europa. La sentenza del tribunale di Taranto sull’indagine "Ambiente svenduto" con cui si è aperta questa settimana ha scatenato polemiche e alimentato dubbi sull’Ilva che verrà, ora bisognerà conoscere i prossimi step giudiziari prima di procedere. È chiaro che ogni valutazione viene effettuata seguendo una scala di priorità: "Taranto va tutelata a tutti i costi però le sentenze ci diranno cosa succederà – aggiunge Cingolani –. Per me, prima viene la salute, poi il Pil, poi il resto".
Se non ci saranno impedimenti giudiziari a bloccare sul nascere la "ricostruzione", si vedrà quali saranno le modifiche apportate al piano industriale al 2025 di ArcelorMittal Italia-Invitalia. Nel 2021 sono previsti 310 milioni di investimento; il completamento della progettazione con i fornitori e l’affidamento degli ordini per il rifacimento dell’altoforno 5, il più grande d’Europa, spento dal 2015; la risalita delle spedizioni da 3,3 a 5 milioni di tonnellate.
Le ambizioni green del governo Draghi sull’ex Ilva e il piano che fa leva sui fondi europei del Recovery plan viaggiano su un percorso di riconversione graduale, ma con una serie di traguardi intermedi da centrare. Si punta a un’escalation anche della produzione, che salirebbe progressivamente più del doppio rispetto ai livelli attuali fino a toccare gli 8 milioni nel 2025 (di cui 2,5 milioni da forno elettrico).
Nel frattempo, dal fronte degli industriali invitano a porsi un interrogativo cruciale in vista delle prossime scelte. «Dobbiamo farci una domanda: questo Paese l’indotto delle acciaierie lo vuole o no? - si chiede il presidente di Confinsutria, Carlo Bonomi –. Credo che sia importante perché abbiamo molte filiere che dipendono dal siderurgico e dobbiamo costruire un progetto acciaio». I sindacati chiedono a gran voce investimenti sul settore «ma senza inquinare», intanto Acciaierie d’Italia toglie la causale Covid dalla cassa integrazione e la trasforma in cassa ordinaria ma non la ridimensiona. La società ha comunicato l’intenzione di ricorrere, dal 28 giugno e per un periodo presumibile di 12 settimane, alla Cassa integrazione ordinaria (Cigo) per un massimo di circa 4mila dipendenti dello stabilimento di Taranto.