Pubblicità Progresso. Come (ri)partire dai nuovi e vecchi bisogni della gente
«Visionari» li chiama Andrea Farinet, presidente di Pubblicità Progresso: quei primi inserzionisti che decidono di fare campagne pubblicitarie su temi civili, etici, sociali. Era il 1971 e si trattava di raccogliere sangue. Missione ardita, mentre l’ordine economico piega anche il sociale ai suoi fini: loro hanno messo la pubblicità a servizio delle battaglie sociali. «Il marketing – racconta Farinet – parte dalle imprese e ci convince che abbiamo bisogno di una serie di beni. Risultato? Il 42% degli acquisti fatti dagli italiani riguarda cose inutili. Noi pensiamo che si debba partire dai bisogni delle persone».
E sono andati avanti così, 50 anni in direzione ostinata e contraria: dalle campagne contro la violenza sulle donne alla sicurezza sul lavoro, dalla lotta contro il fumo a quella contro le malattie sessualmente trasmissibili. Sensibilizzare su temi civili e sociali, possono dirlo: ci sono riusciti. «La sfida – dice Farinet – è trasformare la sensibilizzazione in comportamento ».
L’asticella va sempre un metro più in là, mentre ci si interroga: quale sono le idee di progresso? Le idee, attenzione. Perché una sola declina le verità al singolare, piega ogni discorso alla narrazione ufficiale e ci sottrae la libertà più importante: quella di essere contro. «Dialogo, partecipazione, libertà e ascolto, attenzione e cura dei diritti umani». In un mondo dove solo l’8,2% della popolazione vive in democrazia Farinet vuole un contenitore che faciliti il confronto tra idee. Alcune non hanno superato l’esame, eppure erano blasonate. «Abbiamo messo al centro l’uomo e ha distrutto l’ambiente. Abbiamo provato con la tecnologia: e ha prodotto il capitalismo digitale, il peggiore che ci potesse capitare». Lo vedi dalla qualità dell’aria. «Alcune città rischiano di essere sommerse e sparire a causa del cambiamento climatico; ogni anno ci sono 80mila morti per inquinamento atmosferico ». E dalla coesione sociale: «L’Italia è il Paese meno coeso d’Europa (dopo la Spagna). In provincia di Milano 15mila preadolescenti non sanno se stasera cenano. Quasi 700mila donne hanno perso il lavoro durante la pandemia».
Nell’Italia che possiede il 60% dell’arte classica del mondo (solo la Toscana ne ha più di tutta la Spagna) Farinet invita a ripartire da qui: non per nostalgia museale, ma trarne insegnamento. «Nel linguaggio artistico c’è una enigma che libera: il bello è sradicato da una finalità, non è strumentale. Aristotele diceva che le forme più alte di saggezza sono la poesia e la filosofia: perché non sono strumentalizzabili». D’altronde anche la comunicazione sociale deve essere così: senza doppi fini. «E invece ci sono ancora grandi imprese che danno 100 all’Africa e spendono 200 per dire quanto siamo bravi» racconta Farinet. Poi toglie il velo di Maya su una certa ipocrisia. «In molti casi in Italia non c’è una economia di mercato ma di offerta vale a dire mercati collusivi (come il mercato finanziario e bancario e quello dell’energia) che non garantiscono competitività sul livello di prezzo». La sostenibilità sociale diviene grande meta con un cammino tutto in salita. «Ma sono fiducioso nell’Europa: si difende l’ambiente. Stanno nascendo tante startup con finalità sociali, si parla di tutelare le famiglie monoreddito. Insomma il sogno europeo è superiore a quello americano». RIPRODUZIONE RISERVATA