Le prospettive. Pubblica amministrazione e nuove competenze
Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica amministrazione
Il pubblico impiego continua a essere croce e delizia per i cittadini, ma anche per chi vuole inserirsi e aspirare a una carriera. L'organico è sottodimensionato tra il 30% e il 50%: conta tre milioni e 238mila dipendenti e negli ultimi dieci anni è diminuito di circa 37mila unità. Da un’indagine di Flp-Federazione lavoratori pubblici emerge anche una mancanza di attrattività dell’intera pubblica amministrazione nei confronti dei giovani. L'analisi, infatti, basandosi sui dati del report Ocse Government at a Glance 2021, osserva che la quota di lavoratori tra i 18 e i 34 anni nelle amministrazioni centrali è ferma al 2,5% e l’Italia è penultima tra i Paesi Ocse dove la media è di poco superiore al 19%. Fra i Paesi europei dell’Ocse solo la Grecia fa peggio con 1,8%. Lontanissimi, neanche a dirlo, dai Paesi del G7: il dato migliore è quello del Giappone con il 27%. Secondo una stima Flp su dati Aran, inoltre, emerge che in totale nella Pa italiana (3,2 milioni di dipendenti) gli under 35 sono 336.598 e rappresentano il 10,4%, percentuale che si abbassa ulteriormente se guardiamo alla fascia 18-29 anni, che con 155mila rappresentanti non arriva al 5% del totale. La classe di età più rappresentata è quella 50-59 anni con il 39,1%, 1,2 milioni di dipendenti.
«Dobbiamo vivere quest'epoca di cambiamento - spiega il ministro della Pa Paolo Zangrillo - non con lo spettro e la paura di perdere posti di lavoro, ma con l'obiettivo di rendere l'innovazione tecnologica compatibile con i nostri piani di
sviluppo. La digitalizzazione, l'intelligenza artificiale determineranno profonde modifiche nel nostro modo di lavorare, ci sono
lavori che muoiono, ma nuovi che nascono». Sarà essenziale attrarre nella Pa giovani talenti e anche per questo valorizzare il merito e non dare aumenti a pioggia come è accaduto negli anni passati (e come è certificato dalla Corte dei Conti). La Pa ha sempre più bisogno di rinnovarsi, con nuove leve e nuove competenze. Su un totale di 843.300 ingressi previsti entro il 2026, ben 569.227 saranno riservati ai laureati (67,5%) e 209.981 ai diplomati (24,9%). «Il tema delle risorse della Pa è all'ordine del giorno ormai da molto tempo. Ci sono stati anni molto complicati e difficili, il blocco del turnover ha fatto uscire 300mila persone dalla pubblica amministrazione tra il 2010 e il 2020. Adesso siamo in una stagione nuova perché abbiamo ripreso ad assumere, abbiamo ripensato e riprogettato tutte le nostre procedure concorsuali. Lo scorso anno abbiamo inserito 170mila persone, altrettanto faremo quest'anno. Nei prossimi anni il ritmo di assunzioni sarà serrato. Dobbiamo fare in modo che le nostre persone possano lavorare a prescindere dalla collocazione geografica. Dobbiamo fare in modo che anche i territori che in teoria sono considerati meno attrattivi possano essere una sede di lavoro. Anche su questo stiamo facendo un ottimo lavoro. Nelle procedure concorsuali nuove abbiamo previsto che le persone debbano indicare il luogo dove intendono svolgere la propria attività. Tutto questo potrà aiutare ad avere un miglior bilanciamento nella distribuzione delle risorse. L'obiettivo è avere un capitale umano all'altezza delle sfide che la Pa deve affrontare. Stiamo vivendo un'epoca molto complessa, dobbiamo fare in modo che la pubblica amministrazione sia pronta ad affrontare questi cambiamenti. Dobbiamo fare in modo che le nostre persone abbiano quelle competenze e quelle capacità che consentono loro di lavorare cercando di cogliere tutte le opportunità che la trasformazione digitale oggi ci offre. Stiamo lavorando molto su questo fronte», aggiunge il ministro.
Il ricambio nella Pa
Le pubbliche amministrazioni dovranno individuare il proprio fabbisogno professionale considerando non più esclusivamente le conoscenze teoriche dei dipendenti (sapere), ma anche le capacità tecniche (saper fare) e comportamentali (saper essere). La definizione dei nuovi profili professionali permetterà di superare l’automatismo nel turnover: le nuove assunzioni non consisteranno nella sostituzione di vecchie figure con altre identiche, ma guarderanno al futuro, alle nuove competenze che devono sostenere la trasformazione della Pa prevista dal Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza. Un processo che si tradurrà, dunque, in una progressiva riduzione delle figure amministrative aspecifiche a favore, per esempio, di esperti del digitale, di e-procurement, di transizione verde, di project management. È questa la svolta rivoluzionaria per la Pa contenuta nelle nuove Linee di indirizzo per l’individuazione dei nuovi fabbisogni professionali da parte delle amministrazioni pubbliche. Il documento di 37 pagine, diviso in tre sezioni, aggiorna le linee guida del 2018 e prevede alcune novità sostanziali: la gestione per competenze, l’adozione di un modello di fabbisogno incentrato sui “profili di ruolo” e l'illustrazione di esperienze di questo tipo già presenti in pubbliche amministrazioni nazionali e internazionali. L’esigenza di una maggiore efficienza e di snellimento burocratico-organizzativo della Pa italiana è stata più volte richiamata dalla Commissione europea ed è uno degli obiettivi indicati dal Pnrr. Per raggiungere questo risultato occorre intervenire sul personale superando il “mansionismo”, inteso come l’attribuzione al personale di compiti rigidamente definiti e standardizzati, che diventano un limite all’azione amministrativa. La definizione dei nuovi profili professionali è, dunque, il punto qualificante del documento, che aiuta le amministrazioni a sostituire progressivamente le figure amministrative generiche con figure specifiche come esperti digitali, dell’e-procurement, di project management, di transizione ecologica e così via. Ciò consentirà di superare gli automatismi e di effettuare le assunzioni sulla base delle nuove competenze utili a sostenere le transizioni amministrativa, digitale e ambientale. Una visione flessibile e adattabile alle diverse amministrazioni, come esemplificato nelle linee guida, che può adattarsi anche al superamento del concetto di “profilo professionale” che il nuovo contratto collettivo nazionale delle funzioni centrali ha scelto di operare, aggiornandolo alla nozione di “famiglia professionale”, che si presta a raccogliere una pluralità di profili di ruolo o di competenza, in base alla complessità dell'organizzazione. In questo approccio le competenze non si esauriscono nelle conoscenze acquisite o maturate nel tempo, ma consistono anche nel “come” le conoscenze vengono utilizzate nello svolgimento del lavoro e, quindi, nelle capacità, nelle abilità, nelle attitudini, e sono influenzate dai valori e dalle motivazioni che i singoli debbono possedere per interpretare in maniera efficace, flessibile e dinamica il proprio ruolo nell’organizzazione. La famiglia professionale è l’ambito in cui i dipendenti hanno competenze o conoscenze comuni. Al dipendente pubblico non si chiederà più semplicemente il possesso di nozioni teoriche, ma anche la capacità di applicarle ai casi concreti (sapere fare) e di mantenere una certa condotta (saper essere). Avrà sempre più importanza, quindi, la capacità di individuare, misurare e far crescere queste dimensioni. Nelle procedure selettive occorrerà, di conseguenza, valutare anche aspetti normalmente trascurati, quali, per esempio, la capacità di innovare le procedure amministrative, lavorare in squadra e prendere decisioni in modo autonomo.
Il ruolo della dirigenza pubblica
La distribuzione anagrafica dei dirigenti iscritti a Fp Cida (la Federazione nazionale dei dirigenti e delle alte professionalità della Funzione pubblica), per esempio, riflette non solo lo specchio del Paese, ma anche alcune caratteristiche peculiari del sistema pubblico. I percorsi per accedere a ruoli dirigenziali sono lunghi e complessi, spesso resi magmatici da dinamiche amministrative e normative. Inoltre, la dirigenza pubblica rappresentata da Fp Cida è concentrata principalmente nella scuola, negli enti pubblici non economici e nei ministeri. Per quanto riguarda la sanità pubblica, i dirigenti sanitari sono rappresentati dalla Federazione Cimo-Fesmed. Questa situazione si riflette nei dati sulla distribuzione per fasce d’età:
• Under 40: appena l’1,17%, una percentuale che evidenzia la difficoltà della Pa nell’attrarre giovani talenti.
• 40-50 anni: il 14,86%, una fascia ancora limitata.
• 51-60 anni: il 53,17%, che rappresenta oltre la metà dei dirigenti.
• Over 60: il 30,81%, con un peso significativo nelle fasce più avanzate.
Oltre l’80% dei dirigenti ha più di 50 anni, un dato che pone seri interrogativi sulla sostenibilità e sul necessario ricambio generazionale. Questa distribuzione, però, non è casuale: diventare dirigente nella Pa richiede anni di esperienza e percorsi formativi complessi, ma tali dinamiche rendono ancora più urgente un piano che incentivi l’ingresso di giovani professionisti.
E sulla digitalizzazione come strumento di semplificazione per il cittadino e le imprese, l’Italia non va meglio. L'indice Desi, strumento della Commissione Europea per misurare la digitalizzazione dell'economia e della società, infatti, assegna all'Italia un punteggio di 68,3 su 100 per quello che riguarda la presenza di servizi pubblici digitali per i cittadini, che equivale a un 24esimo posto. Solo quattro Paesi fanno peggio dell'Italia nell'Unione Europea: Bulgaria, Croazia, Polonia e Romania. Parlando, invece, di servizi pubblici digitali per le imprese, la situazione non cambia. L'Italia presenta un punteggio di 76,2 e solo Ungheria, Polonia, Croazia e Romania fanno peggio. Un dato generale che si riflette direttamente sull'accessibilità digitale della Pa.
Roberto Caruso, presidente di Fp Cida indica le priorità per il rilancio del comparto pubblico:
1. Contratti certi e rapidi
Il rinnovo tempestivo e di qualità dei contratti collettivi è fondamentale per motivare il personale e garantire l’efficienza dei servizi. La Pa deve allinearsi al mondo privato, dove il welfare aziendale e i contratti rapidi sono ormai standard consolidati.
2. Ricambio generazionale
L’età media elevata dei dirigenti richiede politiche attive per attrarre giovani professionisti, tramite programmi di formazione, incentivi e un mix equilibrato tra esperienza e innovazione. Non possiamo permetterci un sistema sbilanciato, in cui le nuove leve rappresentano una percentuale irrisoria rispetto a dirigenti con oltre 30 anni di esperienza.
3. Valorizzazione delle elevate qualificazioni
Le elevate professionalità, introdotte nella tornata contrattuale 2019/2021, devono essere meglio integrate nelle aree dirigenziali, riconoscendo il loro ruolo strategico per il funzionamento della Pa.
4. Equità retributiva
È necessario eliminare le disparità di trattamento economico e garantire una valorizzazione adeguata delle competenze, per evitare disuguaglianze sia interne, fra i vari settori della Pa, sia esterne, rispetto alla dirigenza privata, che compromettono l’efficacia della gestione e l’attrattività del sistema.
5. Una Pa moderna e inclusiva
Bloccare i concorsi e rallentare il turnover, come previsto per il 2025, significa non solo privare i cittadini di servizi adeguati ma anche scoraggiare i giovani a intraprendere percorsi nella dirigenza pubblica. Un sistema moderno richiede continuità tra senior e nuove generazioni, creando un ambiente dove il mentoring e l’innovazione possano coesistere.
«Fp Cida – spiega Caruso - rappresenta dirigenti, professionisti e alte professionalità della Pa e si impegna per una riforma strutturale che metta al centro competenze, sostenibilità e innovazione, garantendo un futuro più efficiente e dinamico per il sistema pubblico e per il Paese. Fp Cida plaude al rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro 2025-2027 per i dirigenti dell’industria, sottoscritto da Federmanager, che insieme a Fp Cida e ad altre Federazioni che rappresentano la dirigenza pubblica e privata, aderisce alla Cida. Questo rinnovo, avvenuto prima dell’inizio del triennio di vigenza, rappresenta un modello fisiologico da perseguire. Tuttavia, non possiamo non evidenziare che, nel mondo pubblico, la situazione è ben diversa: le trattative per i rinnovi contrattuali delle aree per i professionisti e i dirigenti relativi al triennio 2022-2024 non sono nemmeno iniziate, nonostante siamo ormai alla fine del periodo di riferimento. Questo ritardo cronico evidenzia quanto siamo lontani da quella “contaminazione” virtuosa tra pubblico e privato che da più parti si invoca e che la nostra Confederazione professa da anni. Il mondo della dirigenza pubblica necessita di un rinnovamento che metta al centro competenze, equità e rapidità nei processi decisionali e contrattuali».