La ricerca. Se il private banking genera valore sociale
AIPB, l’Associazione Italiana Private Banking ha commissionato al Censis una ricerca su «Contribuire al rilancio dello sviluppo italiano: il valore sociale del Private Banking» con l’obiettivo di verificare il sentimento della collettività nei confronti della ricchezza, dei modi in cui è stata generata e i giudizi sul suo utilizzo. Gli operatori del Private Banking sono convinti che un’efficiente ed efficace gestione delle scelte finanziarie della clientela possa e debba avere un impatto positivo anche per il Paese; se questo ruolo propulsivo dei patrimoni delle famiglie benestanti fosse collettivamente riconosciuto, troverebbe un terreno ancor più favorevole al suo consolidamento, aiutando i decision maker nel disegno di politiche volte a favorirne lo sviluppo e a rafforzarne il ruolo. Come? Ecco qualche pista di riflessione.
Premiare le famiglie benestanti, se investono nell’economia reale. La maggioranza degli italiani è convinta che chi investe la ricchezza che possiede moltiplica le opportunità per tutti, perché i patrimoni finanziari sono una vera risorsa, e non sostanze sottratte egoisticamente alla collettività. Il 52,4% degli italiani definisce la ricchezza come una opportunità per l’Italia, se si stimola chi la detiene a investirla bene. Il 25,1% invece la reputa inutile, perché pensa che i ricchi sono cittadini del mondo e portano altrove i soldi. Il 22,5% la ritiene poco meno di un furto ai danni della collettività, sottolineando l’egoismo dei ricchi. Nella percezione comune è prevalente, dunque, una visione della ricchezza come strumento produttivo, attraverso l’investimento diretto o indiretto nell’economia reale, garantendo allo stesso tempo rendimenti per i detentori dei patrimoni e benefici per l’intera collettività. Il 45,7% degli italiani si dice addirittura favorevole a ridurre le tasse sui grandi patrimoni relativamente alle quote che vengono investite per favorire la crescita dell’economia reale.
I grandi patrimoni: meno preoccupati per il futuro, pronti a investire in Italia.
I detentori di grandi patrimoni sono meno preoccupati per il futuro del Paese rispetto al resto degli italiani: il 46,5% contro il 62,2%. E sono meno propensi alla fuga all’estero: il 75,8% resterebbe in Italia anche se avesse la possibilità di andarsene, mentre tra gli italiani in generale la quota si riduce al 48,4%. La voglia di Italia emerge anche dalle decisioni sugli investimenti, perché per il 73,5% dei detentori di grandi patrimoni l’investimento giusto deve generare valore anche per il proprio Paese.
Il valore sociale del Private Banking. In questo quadro, il Private Banking gioca un ruolo decisivo perché, per due terzi dei detentori di grandi patrimoni, il Private Banker rappresenta la figura professionale di riferimento quando si tratta di prendere le decisioni di investimento. Se la ricchezza è ben vista dagli italiani quando si mobilita per lo sviluppo, il 79,6% reputa utili i professionisti che orientano i grandi patrimoni verso investimenti funzionali a favorire l’economia reale. Per l’89,1% i Private Banker sono utili perché possono mettere in movimento le risorse per la crescita, per l’88,1% lo sono perché possono orientare i patrimoni verso investimenti che creano occupazione, benefici sociali, e non solo altri soldi per chi li possiede.
Il passaggio delle aziende tra le generazioni, sfida per l’economia italiana. Troppi sono in Italia i casi in cui il passaggio di un’azienda dall’imprenditore agli eredi genera crisi, con gravi danni per l’impresa, i dipendenti e le comunità. Al momento, il 50,3% degli imprenditori non ha ancora pensato alla trasmissione agli eredi del proprio patrimonio personale e aziendale. Di questi, il 32,2% tende a rimandare e il 18,2% non è interessato a cosa accadrà dopo di lui. Con specifico riferimento al patrimonio aziendale, l’88,3% degli imprenditori non ne ha cominciato il trasferimento agli eredi. Le principali difficoltà che pensano di incontrare sono: per il 36% riuscire a garantire la continuità aziendale, per il 32,6% il timore di scontentare qualche erede, per il 21,8% individuare il sostituto adatto.