Previdenza. In pensione fino a 4 anni prima se a pagare è l'azienda
Sì all’anticipo della pensione per i lavoratori più anziani, se a volerlo è il datore di lavoro presso cui lavorano. Tre le condizioni: che l’anticipo sia al massimo di quattro anni; che sia frutto di accordo sindacale; e che il datore di lavoro (non necessariamente un’impresa) si faccia carico dell’onere per il pagamento della ‘retribuzione-pensione’ durante tutto il periodo dell’anticipo di pensione. Lo ha stabilito il ministero del lavoro nella circolare n. 24/2013, dettando le istruzioni alla novità prevista dalla legge n. 92/2012 di riforma del mercato del lavoro (riforma Fornero). In buona sostanza, i lavoratori a cui mancano al massimo quattro anni per maturare il diritto ad una pensione, potranno incrociare prima le braccia intascando, nel periodo di attesa di ricevere la pensione vera e propria, una ‘retribuzione-pensione’ erogata dal datore di lavoro d’importo pari all’importo teorico della pensione. La novità interessa i lavoratori le cui pensioni dovranno essere liquidate dall’Inps, incluse le gestioni Enpals (spettacolo) ed Inpdap (ad eccezione dei dipendenti pubblici), nonché dagli enti privati e privatizzati (Inpgi, per esempio).
Tre le ipotesi.La novità fa parte delle misure previste dalla riforma Fornero per facilitare l’uscita anticipata dei lavoratori vicini al raggiungimento dei requisiti di pensionamento: in altre parole, è una misura per lo “svecchiamento” delle aziende. La legge Fornero aveva previsto un’ipotesi generale a cui se ne sono aggiunte altre due, introdotte successivamente dal dl n. 179/2012 convertito dalla legge n. 221/2012. In tutto, dunque, sono tre le ipotesi o procedure di “prepensionamento aziendale”; in ogni caso si fa riferimento ai datori di lavoro, che possono essere sia imprese che non imprese (a esempio uno studio professionale), ma “che impieghino mediamente più di 15 dipendenti”, media calcolata sul semestre precedente la data di avvio della procedura di “prepensionamento aziendale” con la stipula dell’accordo sindacale.
Prima ipotesi: accordo sindacale aziendale. La prima ipotesi riguarda il caso in cui, in presenza di eccedenze di personale, il datore di lavoro stipuli un accordo aziendale con i sindacati più rappresentativi a livello aziendale (in genere, quindi, con la Rsa o Rsu). L’accordo è a formazione progressiva, nel senso che si compone di un primo accordo tra le parti che lo sottoscrivono, ossia datore di lavoro e sindacati, ma che si perfeziona con l’adesione del lavoratore, personale e successiva, per cui la cessazione del rapporto di lavoro avverrà per risoluzione consensuale (formula di risoluzione del contratto del lavoro per la quale, si evidenzia, non si paga il nuovo ‘ticket di licenziamento’).
Seconda ipotesi: accordo sindacale di mobilità.La seconda ipotesi è incardinata nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo, di cui alla legge n. 223/1991 (mobilità). L’accordo, in tal caso, anziché prevedere solo l’accesso alla mobilità, disciplinerà anche la nuova ipotesi di anticipo di “prepensionamento aziendale”, senza però diritto all’indennità di mobilità, evidentemente a favore solo dei lavoratori più prossimi alla maturazione dei requisiti di pensione. Per espressa previsione di legge, anche in questo caso il datore di lavoro non sarà tenuto a versare il ticket di licenziamento.
Terza ipotesi: accordo per i dirigenti.L’ultima ipotesi è uguale alla prima con la differenza che interessa esclusivamente il personale con qualifica di dirigente. L’individuazione di una fattispecie ad hoc, spiega il ministero nella circolare, deriva dal fatto che in questo caso l’accordo deve essere stipulato dal sindacato “stipulante il Ccnl della categoria”, a prescindere dalla rappresentatività presso il datore di lavoro coinvolto. Anche in tal caso pertanto l’accordo è a formazione progressiva, perfezionandosi con l’adesione del dirigente.