Premio. Tirole, Nobel che concilia mercato e bene comune
Se qualcuno avesse chiesto agli economisti chi meritava di più il premio Nobel tra i big che non l’avevano ancora ricevuto la risposta sarebbe stata sicuramente Jean Tirole. Questo Nobel dunque è il giusto premio per la sua carriera e non arriva certo a sorpresa. L’ingegnere francese passato all’economia ha un’impressionante serie di lavori sui meccanismi che consentono a livello micro e a livello di regolamentazione di superare il problema delle varie forme di opportunismo (azzardo morale, fallimento strategico, selezione avversa) con i quali i soggetti sfruttano i buchi informativi del sistema per portare a casa vantaggi per sé a scapito del bene della collettività. Tirole ha lavorato moltissimo in materia di teoria dei contratti e di regolamentazione ottimale per cercare di costruire una sistema di regole, sanzioni ed incentivi in grado di riconciliare le energie e le pulsioni dell’autointeresse individuale con il bene comune. Questa parte fondamentale del suo lavoro parte dall’assunto, che è anche quello dell’economia civile, secondo il quale l’ottimismo ingenuo ed ingiustificato nel laissez faire e nell’autosufficienza della mano invisibile è molto pericoloso. La somma degli interessi individuali degli homines economici (individui dediti al mero arricchimento personale) e delle imprese volte alla massimizzazione del profitto non può essere magicamente trasformata in benessere per tutti grazie alla sola azione della mano invisibile del mercato. Per superare il 'fallimento del mercato' la teoria dei contratti e della regolamentazione alla quale Tirole ha dato un contributo notevolissimo sia in termini di quantità che di qualità appronta una serie di correttivi che aumentano il potere di una seconda mano, quella del pubblico e del regolatore. I modelli di Tirole aiutano anche a capire come è possibile difendersi dall’opportunismo dei regolatori stessi (che ci aspettiamo benevolenti ma anch’essi possono invece rivelarsi opportunisti) e ad evitare che i regolatori vengano catturati da regolati più grandi e più potenti di loro. Quello che però è, a mio avviso, più importante nell’avventura intellettuale di Jean Tirole è il non esser stato 'geloso' dei suoi principali risultati (quelli sulla teoria degli incentivi) e l’aver saputo relativizzarli affacciandosi negli ultimi lavori con Benabou nel mondo delle motivazioni intrinseche. Senza aver paura di sconfessare alcune sue conclusioni, Tirole si rende conto in lavori come quelli su 'intrinsic and extrinsic motivations' che i risultati migliori dal punto di vista della fertilità sociale ed economica non possono essere ottenuti solo ragionando secondo l’assunto di Hume per il quale gli uomini sono fondamentalmente malintenzionati e bisogna costruire le regole che limitino al massimo le loro possibilità di fare danno. Con il filone sulle motivazioni intrinseche, il neo Nobel va oltre la sua teoria degli incentivi, rompe il vincolo del riduzionismo antropologico e inizia ad esplorare quelle energie positive della persona (reciprocità, altruismo, avversione alla diseguaglianza, motivazioni intrinseche appunto) che seguono leggi opposte e che i meccanismi di sanzione e punizione, o anche quelli degli incentivi monetari, possono paradossalmente avvilire o spiazzare. Per tenere assieme le due fasi della ricerca di Tirole viene in mente la bellissima affermazione di un altro Nobel (per la Pace) Junus che afferma: «Un vero essere umano è disinteressato, si prende cura dei suoi simili, sa condividere, avere fiducia e costruire comunità e amicizia. È allo stesso tempo anche l’opposto di tutte queste virtù. Quali di questi attributi coltiverà e quali invece reprimerà dipende molto dal mondo attorno a lui». La sfida di individuare i percorsi che portano al primo piuttosto che al secondo esito è quella che il lavoro di Tirole lascia in eredità al futuro della ricerca economica e sociale.