Eurostat. Campania, Calabria e Sicilia tra le prime regioni in Europa a rischio povertà
Milioni di famiglie che lottano per assicurarsi cibo a sufficienza; nuclei che non riescono a pagare affitto o mutuo; anziani, spesso soli, che non hanno adeguato accesso a cure mediche e farmaci. E poi ci sono le povertà “immateriali” – legate ad alcune condizioni sociali o territoriali – come la mancanza di istruzione, il lavoro minorile.
Campania, Calabria e Sicilia sono tra le prime dieci regioni in Europa con la quota più alta di persone a rischio povertà ed esclusione sociale. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’ufficio di statistica dell’Unione europea nel 2022 in Campania si registra il secondo dato più alto in Europa, dopo il Sud-Est della Romania, con il 46,2%, a dispetto della media europea che è al 21,6%. La Calabria invece, preceduta da un’altra area periferica della Romania, si attesta al quarto posto con il 42,8%, seguita a ruota dalla Sicilia con il 41,4% della popolazione a rischio povertà ed esclusione sociale. Peraltro nelle stesse tre regioni del Sud Italia meno della metà della popolazione ha un lavoro stabile: in Sicilia solo il 46,2%, in Calabria il 47% e in Campania il 47,3%.
E più in generale, tutte le regioni del Sud hanno tassi di occupazione ai minimi Ue (ovvero inferiori al 63,3%): in Puglia sono al 53,4%, Basilicata 57,3%, Sardegna 58,6%, Molise 58,8% e Abruzzo 62,8%.
Ma come funziona il nuovo indicatore di Eurostat sul rischio povertà ed esclusione sociale? Esso tiene conto di tre fattori: povertà in senso stretto, bassa intensità di lavoro e grave deprivazione materiale e sociale. Secondo questa misurazione 95,4 milioni di europei, oltre un quinto della popolazione, vivono in gravi difficoltà, di cui 14,3 milioni sono in Italia.
La povertà viene, quindi, misurata in percentuale rispetto al reddito medio di ciascun Paese e viene applicata a ogni nucleo familiare, tenendo conto delle dimensioni della famiglia. Ad esempio, per una persona singola in Italia nel 2022, la soglia di povertà è stata fissata a 930 euro al mese. In Campania, il 37% dei residenti si trova al di sotto di questa soglia, il dato peggiore a livello nazionale rispetto alla media del 20%. La “bassa intensità di lavoro” riguarda le famiglie in cui le persone in età lavorativa (tra i 18 e i 64 anni, escludendo gli studenti e coloro che sono già in pensione) hanno lavorato meno del 20% dei mesi teoricamente possibili. Ad esempio, se una coppia di trentenni ha a disposizione 24 mesi di lavoro in un anno e lavora meno del 20% di quel periodo (cioè meno di 5 mesi), rientra nella categoria a rischio. In Campania, il 22% delle persone si trova in questa situazione, il dato peggiore a livello nazionale rispetto alla media italiana del 10%.
Infine, la “grave deprivazione materiale e sociale” registra le persone colpite da almeno sette “segnali” su un elenco di undici. Questi segnali includono difficoltà familiari come l’incapacità di permettersi sette giorni di vacanza lontano da casa all’anno, ritardi nel pagamento delle bollette, incapacità di riscaldare l’abitazione, mancanza di un’automobile o impossibilità di sostituire mobili danneggiati o non funzionanti. Altri segnali riguardano le singole persone, come l’incapacità di acquistare abiti nuovi, due paia di scarpe o di uscire a mangiare o bere qualcosa con gli amici almeno una volta al mese. In Campania, il 14% dei residenti si trova in questa situazione critica, il triplo rispetto alla media nazionale del 4,5%.
Percentuale di persone a rischio povertà in Europa - Eurostat
A livello nazionale, l’Italia non presenta una situazione molto peggiore rispetto alla media dell’Unione europea a 27: 24,4% rispetto al 21,6% di rischio di povertà. Tuttavia, sono le diseguaglianze regionali a fare la differenza. Da un lato, in Italia ci sono tre regioni tra le migliori dodici: Valle d’Aosta al 8,6%, Emilia Romagna al 9,6% e l’Umbria con valore intorno all’11%; dall’altro lato, nella parte basse della graduatoria, ci sono tre regioni tra le dieci peggiori, come detto Campania, Calabria e Sicilia, con valori oltre il 40%.
Al di fuori del Mezzogiorno italiano, le aree più povere d’Europa si trovano nelle regione periferiche della Romania e della Bulgaria, mentre le qualità di vita nelle regioni peggiori della Grecia o della Spagna sono comunque migliori rispetto al Sud Italia. Ad esempio, l’Attica, in Grecia, ha una situazione sociale migliore del Lazio in Italia, con un divario del 5%.
L’obiettivo di questi nuovi indicatori materiali è quello di svincolarsi il più possibile dalla questione del “differente costo della vita”, che spesso influisce sul dibattito tra Nord e Sud Italia. Spesso si sostiene che la povertà nel Mezzogiorno sia sovrastimata perché le spese di base sono più basse e si possa vivere decentemente anche con stipendi più bassi. Tuttavia, chi non è in grado di permettersi “due paia di scarpe in buone condizioni per tutti i giorni” si trova in una condizione di esclusione sociale, indipendentemente dal prezzo delle calzature.