Le
Poste Italiane procedono spedite
verso la quotazione in Borsa e intanto
tagliano gli uffici postali. Sale così la protesta nei comuni interessati dai risparmi. Solo
in Toscana sono 59 e nelle scorse settimane avevano presentato un ricordo al Tribunale amministrativo regionale.
I giudici del
Tar della Toscana hanno così optato per la sospensiva della chiusura degli uffici postali relativa a tutti i comuni che avevano fatto ricorso. Lo hanno comunicato Anci e Uncem, dopo aver avuto notizia di un precedente
provvedimento che, in via straordinaria, aveva riguardato solo 3 comuni i quali avevano presentato un altro ricorso.
Nel ricorso al Tar, che ora dovrà pronunciarsi nel merito, i comuni aveva impugnato la comunicazione con cui Poste italiane aveva informato i sindaci
dei tagli al servizio. Nel fine settimana a Firenze si è svolto un presidio organizzato da Anci Toscana davanti alla sede di Poste Italiane in via Pellicceria,
proprio per protestare contro la decisione dell'azienda di
chiudere 57 uffici situati in piccoli comuni.
E
in Calabria un
sindaco si è incatenato per manifestare contro la decisione di Poste Italiane di rimodulare, cioè ridurre a soli tre giorni settimanali,
l'apertura dell'ufficio postale del proprio comune. È la protesta attuata da Luigi Riccelli sindaco di Sorbo San Basile, nella Presila Catanzarese. "Siamo persone non numeri", "L'ufficio postale non si tocca" e "gli sprechi sono altri" sono
alcune delle scritte impresse su striscioni affissi davanti
all'ingresso dell'ufficio postale.
Intanto Poste vanno avanti secondo la loro tabella di marcia verso la Borsa, un percorso quasi obbligato, secondo i suoi vertici, per restare al passo coi tempi e nel
contempo conservare il ruolo che ha sempre avuto in Italia
riportando equilibrio finanziario nel business. Insomma
"Poste
resta Poste se si privatizza" dice il suo a.d Francesco Caio,
che esclude nel contempo un ruolo del gruppo nel risiko delle
banche.
Di parere opposto Corrado Passera, che giudica
"un grave errore" la quotazione per tre ragioni: "significa privarsi di un'infrastruttura sociale e
amministrativa, di un formidabile strumento di finanziamento del
debito dello Stato e dei suoi investimenti e, se sono vere le
cifre di cui si parla (valutazione del 100% di Poste tra 6 e 10
mld) l'operazione finirebbe per essere una netta svendita di
patrimonio pubblico".
"Si dice che Poste -continua Passera- per mantenere la funzione di coesione sociale, deve privatizzarsi. È proprio il contrario. L'obbiettivo istituzionale di Poste non è massimizzare l'utile di breve periodo, ma garantire a tutti coloro che
vivono in Italia servizi adeguati al minor prezzo possibile, in un
quadro, ovviamente, di sostenibilità economica: è palese che la
quotazione stravolgerebbe questa finalità. Inoltre stravolgerebbe
l'identità stessa di Poste vanificando il lavoro di centinaia di
migliaia di uomini e donne".
"Giusto ridurre il perimetro dell'intermediazione pubblica
nell'economia - conclude Passera - ma allora si cominci a privatizzare
le migliaia di partecipate pubbliche, spesso addirittura quotate, che
non hanno nessun compito di coesione sociale".