Le banche popolari sono pronte a confrontarsi con il governo per elaborare una riforma «condivisa» della categoria «che sappia preservare il suo patrimonio identitario in un contesto di mercato profondamente mutato». Dal vertice del consiglio di amministrazione di Assopopolari parte un’apertura verso l’esecutivo per correggere, e migliorare, il decreto legge che impone la trasformazione in Spa delle banche popolari che hanno attivi oltre gli 8 miliardi di euro. Il testo arriverà all’inizio della prossima settimana alla commissione Finanze della Camera, che il 10 febbraio dovrà prima votare le pregiudiziali di costituzionalità presentate dai capigruppo di Forza Italia, Lega, Movimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia e libertà e quindi – se il decreto dovesse superare questo passaggio, e non è scontato – inizierà le audizioni delle parti interessate.Tra i primi ad essere sentiti dai deputati ci sarà, naturalmente, il rappresentante di Assopopolari. Il direttivo dell’associazione ieri ha già anticipato quello che ha da dire su una "riforma" che sembra un attacco al modello di banca del territorio. Intanto il concetto di "mutualità", ricorda Assopopolari, non è qualcosa che appartiene al passato, e infatti è «facilmente misurabile» nell’impegno delle banche popolari sui loro territori; la patrimonializzazione di questi istituti è «adeguata», aggiunge l’associazione ricordando che le popolari sottoposte ai test della Bce hanno superato con solidità la prova; infine, Assopopolari ricorda che grandi dimensioni degli attivi non sono incompatibili con il modello di banca basata sulla mutualità, come dimostra il fatto che ci siano tante banche cooperative con impieghi oltre i mille miliardi.Questo non toglie che l’associazione possa essere «favorevole» a una riforma della categoria. Una riforma più attenta però alla specificità delle banche popolari. I tre saggi che da mesi erano stati incaricati da Assopopolari di elaborare una proposta – Piergaetano Marchetti, Alberto Quadrio Curzio e Angelo Tantazzi – hanno presentato al Cda alcune strade possibili. Tutte soluzioni «fondate su una più significativa apertura al capitale nella formazione degli organi di governo della Popolare cooperativa» e, nel caso il governo volesse procedere con la «forzosa conversione in Spa», è possibile valutare una specifica «ponderazione del voto di capitale, con particolare favore per i soci con possesso azionario limitato/durevole». Si tratterebbe, spiegano fonti vicine al dossier, di proporre una soluzione in cui i piccoli soci, o quelli che detengano le azioni per un certo periodo, abbiano la possibilità di esprimere più di un voto in assemblea, come d’altra parte già consentito dalle norme. I saggi, infine, ricordano anche che la proposta del governo pare «non scevra di dubbi di legittimità costituzionale».Resta da capire quanto spazio politico ci sia per una correzione del testo. Ncd, dopo il trattamento avuto durante le trattative per l’elezione del presidente della Repubblica, ha promesso battaglia sulla riforma delle popolari. Le opposizioni sono compattamente contrarie e anche dentro al Pd in molti sono più che perplessi. Matteo Renzi ha però promesso in televisione che è pronto anche a mettere la fiducia su un decreto che, assicura il presidente del Consiglio, a Bruxelles ha lasciato «tutti a bocca aperta». Proprio ieri Pier Carlo Padoan ne ha presentati i dettagli, assieme al progetto di di
bad bank italiana, al vicepresidente della commissione Valdis Dombrovskis, al commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager e a quello ai Servizi finanziari, Jonathan Hill. Quest’ultimo, l’inglese paladino della
City a Bruxelles, deve averlo particolarmente apprezzato.