Il Piano nazionale di ripresa e resilienza è una straordinaria opportunità per riscrivere e riorganizzare il Ssn-Servizio sanitario nazionale. Secondo il Censis, ben otto italiani su dieci ritengono che la spesa pubblica in sanità sia un investimento da non sprecare: ospedali, sanità territoriale, personale e ammodernamento dei macchinari le prime voci su cui intervenire. Il Pnrr individua nella medicina territoriale e nella diffusione capillare delle strutture sanitarie un elemento fondamentale per potenziare il sistema. Da questo punto di vista una voce di investimento significativa riguarda la costruzione di nuove case e ospedali di comunità. Le prime dovrebbero diventare il punto di riferimento per l’erogazione dei servizi sanitari offerti ai cittadini, con particolare attenzione per i malati cronici. Per questa specifica voce il decreto del ministero della Salute stanzia due miliardi di euro. Un altro miliardo è dedicato alla realizzazione di ospedali di comunità. Queste strutture sono rivolte ai pazienti che necessitano di cure a “intensità clinica medio-bassa” e per degenze di breve durata. A servizio di questo nuovo modello organizzativo dovranno poi essere realizzate delle Centrali operative territoriali (Cot). Queste dovranno svolgere una funzione di coordinamento della presa in carico della persona e di raccordo tra servizi e professionisti coinvolti nei diversi ambiti assistenziali. Oltre 2.300 le nuove strutture da realizzare in tutto il Paese: in Lombardia 348, in Campania 272, in Sicilia 234. È sul territorio che va costruita la risposta: un sistema di assistenza primaria, una rete complessa e capillare in grado di prendere in carico direttamente nel cuore della comunità il bisogno assistenziale dei cittadini, concentrando sull’ospedale solo cure e interventi più importanti. «La proposta è quella di una soluzione percorribile – spiega
Luca Foresti, ceo di Santagostino - che prevede l'accreditamento di aziende pubbliche e private per l'erogazione di servizi di medicina di base, lasciando al cittadino la possibilità di scelta e con un uso più spinto della tecnologia, come già sperimentato con successo in alcuni Paesi quali Regno Unito o Finlandia. Ma la realtà demografica dei medici e pediatri di base non è positiva: nei prossimi sei anni andranno in pensione in 36mila su un totale di 50mila, a fronte di soli 6mila (a meno delle aggiunte delle Regioni, potenzialmente fino a un raddoppio di questo numero) nuovi ingressi. E anche il tema fondi Pnrr è focalizzato sugli investimenti e non sulla spesa corrente. Sono i numeri a dirlo: 20 miliardi di euro di investimenti in cinque anni, quindi quattro miliardi l'anno. Le sole case e ospedali di comunità, insieme al 10% di copertura di assistenza domiciliare agli over-65 (due miliardi nel Pnrr), a regime richiederanno quattro miliardi l'anno di spesa corrente». I due anni e mezzo di Covid hanno anche aggravato un processo già evidente, ma peggiorato dalla condizione di povertà in cui versano dieci milioni di italiani. Nel 2021 metà delle famiglie italiane ha rinunciato a prestazioni sanitarie e cure per problemi economici, indisponibilità del servizio e inadeguatezza dell'offerta. E nel 13,9% dei casi le rinunce sono state rilevanti. «Questi numeri tracciano in modo drammatico la mappa della diseguaglianza di un Paese – sottolinea
Giuseppe Milanese, presidente di Confcooperative- Sanità – in cui riesce a curarsi solo chi può pagare. Come cittadini e come cooperatori non vogliamo una sanità solo per chi se la può permettere. Le cooperative, in via sussidiaria, possono indicare una terza via creando un articolato sistema multiprofessionale sul territorio grazie al network di medici, farmacisti, professionisti della salute e mutue sanitarie». A oltre 40 anni dalla sua istituzione, il Ssn sta vivendo una crisi senza precedenti. Il risultato è l’intasamento delle strutture ospedaliere dove un ricovero costa non meno di 700-800 euro al giorno. «Con gli stessi soldi – precisa Milanese – si potrebbero assistere, quotidianamente, dieci persone fuori dall’ospedale. Con 15-20 ore al mese di assistenza domiciliare potremmo da un lato rafforzare la rete dei servizi dall’altra creare 100mila nuovi posti di lavoro».
Non è solo una questione di spesa, ma anche di riorganizzare i servizi in un Paese che cambia e che invecchia. Nel Rapporto
Bes Istat 2022 emerge chiaramente che i due anni della pandemia hanno messo a dura prova il benessere della popolazione. Quasi la metà degli anziani è in cattive condizioni di salute. In Italia le persone che hanno compiuto 75 anni sono oltre sette milioni (erano circa 5,9 milioni nel 2010), pari all’11,9% del totale della popolazione. Quasi la metà (il 47,8%) è multicronico, soffre di tre o più patologie croniche o ha gravi limitazioni nel compiere le attività che le persone abitualmente svolgono. Tale quota è più elevata per chi vive nel Mezzogiorno (55,2% rispetto al 44,1% nel Nord e al 45,2% nel Centro) e tra le donne (52,4% rispetto al 40,9% tra gli uomini) e raggiunge il 59,4% tra le persone di 85 anni e più (rispetto al 38,8% delle persone di 75-79 anni). «I posti letto per anziani non autosufficienti nelle strutture residenziali e semiresidenziali sono meno di 300mila, solo 1/3 rispetto alla Francia e 1/4 rispetto alla Germania. Una situazione che è destinata a peggiorare nei prossimi anni con un ritmo stimato di 10mila posti letto ogni anno – continua Milanese –. Appare profonda poi la spaccatura geografica del Paese: il 67% delle residenze sociosanitarie sono al Nord, solo l’8% al Sud, dove molti servizi di welfare vengono erogati direttamente dalle famiglie, ma non basta a far fronte alla domanda. È su questi squilibri che dobbiamo intervenire. Non spendendo di più, ma spendendo meglio». «Con l’invecchiamento della popolazione – conclude Foresti – la spesa sanitaria corrente, per mantenere la stessa qualità erogata, aumenta tra i 2,5 e i quattro miliardi di euro l’anno. C’è necessità di un maggior numero di professionisti. Non solo medici e infermieri, il cui fabbisogno è ormai giunto a quota 150mila. Ma anche specialisti, come anestesisti, psichiatri, ginecologi, dermatologi, oculisti o professionisti sanitari come ostetriche, audioprotesisti, psicoterapeuti. Purtroppo mancano competenze e managerialità. Per attirare queste professionalità serve una migliore remunerazione e una maggiore qualità della vita. Oltre a una programmazione seria e una collaborazione pubblico-privato».