Economia

Auto. Che cos'è e che cosa vuole diventare Rivian

Pietro Saccò sabato 13 novembre 2021

Un pick-up Rivian parcheggiato davanti alla sede del Nasdaq per il debutto a Wall Street

A Wall Street non si era mai visto un debutto come quello di Rivian. La società fondata da RJ Scaringe, ingegnere 38enne con un dottorato al Massachusetts Institute of Technology, si occupa di costruire pick up elettrici. Li ha chiamati R1, li produce in versione cabinata o con il cassone, ha iniziato a costruirli a settembre e per ora ne ha completati pochissimi: 180 in tutto, come scrive nel documento consegnato alla Sec per la quotazione al Nasdaq, quasi tutti consegnati ai suoi stessi dipendenti. Le vendite sono ancora a zero e gli unici incassi – per un milione di dollari – sono arrivati dai veicoli prenotati dai futuri clienti, che possono depositare mille dollari (rimborsabili) per avere uno degli R1. In assenza di fatturato, ci sono solo perdite: 426 milioni di dollari di rosso nel 2019, 1.018 milioni nel 2020, 994 milioni nella prima metà del 2021. A livello contabile, le cose non andranno meglio ancora per un bel po’: «Siamo una società in fase di crescita con una storia di perdite e prevediamo di sostenere spese significative e perdite continue per il prossimo futuro».
Questa contabilità poco rassicurante non ha impedito a Rivian di raccogliere 12 miliardi di dollari con il collocamento del 10% a Wall Street mercoledì e di raggiungere una valutazione complessiva di 110 miliardi di dollari, pari più o meno a quelle di General Motors e Ford messe insieme. L’unico costruttore di automobili americano che ha una quotazione maggiore di quella di Rivian è Tesla, che nonostante la caduta del 15% in una settimana vale ancora più di mille miliardi di dollari (pari a 344 volte gli utili che è in grado di generare in un anno, quando in media le società sul Nasdaq valgono 30 volte gli utili che producono). Lo stesso Elon Musk, per nulla schizzinoso rispetto alle folli valutazioni delle startup a Wall Street, non ha nascosto una certa irritazione per il successo borsistico della nuova rivale: «Spero che siano in grado di raggiungere un'elevata produzione e un flusso di cassa di pareggio. Questa è la vera prova – ha scritto su Twitter il manager di Tesla –. Ci sono state centinaia di startup automobilistiche, sia elettriche che a combustione, ma Tesla è l'unica casa automobilistica americana ad aver raggiunto una produzione ad alto volume e un flusso di cassa positivo negli ultimi 100 anni».

R.J. Scaringe, il ceo di Rivian, presenta i primi modelli dell'azienda - Reuters

La sfida di produrre (e vendere) una significativa quantità di mezzi è la principale incognita sul futuro di Rivian. L’azienda ha le spalle robuste perché tra i suoi soci ci sono Amazon, che ha il 18,5% delle azioni, e Ford, che ne ha l’11,8%. Amazon sarà anche il primo grande cliente di Rivian: il gigante del commercio elettronico si è accordato con Rivian per comprare entro il 2025 100mila dei furgoni elettrici EDV che l’azienda dovrebbe riuscire a iniziare a produrre a dicembre.

Rivian ha certamente fatto una scelta di mercato intelligente: invece di sfidare Tesla sul mondo dell’auto elettrica si è spostata dall’inizio sul settore dei pickup e dei furgoni. I

pickup

dominano il mercato dell’auto americana: sono veicoli di questo tipo anche i tre veicoli più venduti negli Stati Uniti nel 2020, il Ford F, il Ram Pickup del gruppo Stellantis, la Chevrolet Silverado di General Motors. Mentre i furgoni elettrici (quelli di Rivian costano da 67mila a 93mila dollari a seconda degli allestimenti) hanno un potenziale di vendita enorme, considerata la crescita del commercio elettronico e l’impegno ambientale a cui sono chiamati i grandi gruppi del settore (a partire dalla stessa Amazon). Il mercato a cui punta Rivian oggi vale circa 9mila miliardi di dollari. Le prospettive di crescita di Rivian, insomma, sono enormi. Che l’azienda riesca però a centrare i suoi obiettivi però è tutto da vedere. Nei “fattori di rischio” che le società devono chiarire quando si quotano, Rivian ammette tutti i suoi limiti, dalla storia di perdite alla difficoltà di valutare le sue reali prospettive di mercato, passando per la necessità di avere una diffusa rete di colonnine di ricariche al “rischio” che i lavoratori del suo unico impianto, quello di Normal, nell’Illinois, si iscrivano a un sindacato.