Economia

Inchiesta. Persona e comunità: il Censis va oltre il Pil

Carla Collicelli domenica 8 marzo 2015
La crisi economica sembra aver accentuato l’interesse per nuove modalità e nuovi indicatori di misurazione del benessere. Ma è in realtà da molto tempo che un contributo in questo senso viene fornito dalle attività di ricerca e reporting in ambito sociale.  La storia dei rapporti sociali è una storia lunga, e proprio quelli dell’Europa meridionale sono i più antichi. In particolare il Rapporto italiano del Censis è nato nel 1964, seguito dopo molti anni da altri rapporti, in particolare dell’Istat (La situazione del paese dal 1992, Indicatori territoriali dal 1998, Benessere equo e sostenibile dal 2011, solo per citare i più importanti). Attraverso questo tipo di reporting ci si è interrogati sul rapporto tra sviluppo economico e benessere, e su quali siano le componenti dello sviluppo al di là dei fattori economici e demografici, ampiamente utilizzati e confrontati. Il contributo che il Rapporto Censis ha dato allo sviluppo di una visione più articolata del benessere ha a che fare con il sistema di equilibrio tra soggetto, comunità e ambiente. Benessere e malessere, secondo questa visione, sono concetti relativi e multidimensionali e vanno considerati vere e proprie 'costruzioni sociali'. Simili riflessioni hanno portato alla produzione di modelli di analisi e di indicatori articolati su due macro dimensioni, quella delle condizioni di vita (indicatori sia oggettivi che soggettivi), e quella del benessere soggettivo (solo indicatori soggettivi).  Il benessere soggettivo si articola poi in una dimensione cognitiva (in base a standard di riferimento) ed in una affettiva (la sensazione emotiva del momento). Il panorama concettuale, metodologico e statistico ne è uscito fortemente arricchito ed ampliato. La potenza della dimensione interpretativa e propositiva prodotta, deriva proprio dalla capacità di individuare le interconnessioni tra i differenti livelli di osservazione e tra il patrimonio delle basidato delle fonti ufficiali e quello delle indagini qualitative realizzate sul campo. Tra 1964 e 2014 si è trattato per il Censis di quasi 2.500 progetti di ricerca per più di 1000 istituzioni e aziende esterne, di quasi 150 progetti autopromossi, di più di 1000 pubblicazioni e di 765 numeri della rivista. Per quanto riguarda i dati quantitativi e qualitativi raccolti in proprio, si tratta di quasi 500.000 soggetti intervistati solo tra 2001 e 2012, di circa 100.000 unità statistiche trattate ogni anno e di circa 300 indicatori aggiornati annualmente a livello locale, regionale, nazionale ed europeo.  Ma quali gli esiti di questo imponente lavoro di analisi incrociata di indicatori? Il più importante è quello di spiegare lo sviluppo ed il benessere alla luce dei valori, delle aspettative, dell’identità, del clima sociale, del capitale sociale e del capitale umano di un gruppo sociale o di una nazione. Ad esempio i concetti-chiave che il Rapporto Censis del 2014 sottolinea per capire la situazione italiana di oggi sono il modello asistemico e la società in deflazione. Una società dotata di folte interconnessioni è a-sistemica in quanto non riesce a riempire di significati le reti su cui si basa, né ad interconnettere tra loro i diversi ambiti e circuiti, e ciò crea malessere. Una società in deflazione è una società che arretra non solo economicamente, ma anche e soprattutto dal punto di vista delle aspettative e dello scambio tra sistema dei valori delle istituzioni e sistema dei valori della società. Gli elementi che concorrono a sostenere questo tipo di interpretazione derivano dalla misurazione dei sentimenti nei confronti della vita e del lavoro, quali l’incertezza e l’ansia rilevati nel corso delle indagini dell’anno. La fiducia nel prossimo e nelle istituzioni è un altro indicatore soggettivo utilizzato, decisamente molto basso nella percezione degli italiani, anche in confronto ad analoghi indicatori rilevati in altri contesti nazionali. Per quanto riguarda il benessere e la sua misurazione, le ricerche del Censis rimandano a tre assunti principali: il benessere e la felicità dipendono solo in parte dalle condizioni economiche di vita e dalla ricchezza collettiva misurata attraverso il Pil o altri indicatori macro-economici; gli aspetti immateriali dello sviluppo contano molto e sono di varia natura; le politiche per il benessere devono orientarsi al soddisfacimento dei bisogni sociali primari (socialità, salute, sicurezza) e secondari (qualità del lavoro, servizi, qualità urbana) e al terzo livello che attiene al clima sociale della convivenza, alla coesione, alla fiducia. Ne discende la prospettiva di una 'politica proattiva' del benessere che sappia coniugare tutte le politiche tra loro, evitando i giochi 'a somma zero' che si verificano ogni qual volta si sprecano risorse per sanare i danni prodotti con scelte politiche ed interventi economici non calibrati sul sociale.