«Io sono favorevole, e non da oggi. Gli organismi geneticamente modificati non devono farci paura». Giuseppe Bertoni è professore di fisiologia degli animali e direttore dell’Istituto di zootecnica presso la facoltà di Agraria all’Università cattolica di Piacenza. Ha fatto parte della Commissione interministeriale per la valutazione dell’impatto ambientale degli ogm, e non è sorpreso della decisione della Commissione Ue. «Il trasferimento di geni o di una parte di essi è presente in natura. Chi si occupa di ogm in laboratorio non è uno stregone, non stravolge l’opera di Dio e non si pone in conflitto con le leggi naturali. È normale il trasferimento del genoma di un virus in un altro organismo, o di materiale genetico da un batterio all’altro. Gli stessi mitocondri presenti nelle cellule sono residui ancestrali di microrganismi esterni».
Ma in questi casi non interviene la mano dell’uomo.Però da sempre l’uomo modifica le caratteristiche delle piante e degli animali. Certo, in laboratorio si usa il bisturi invece dell’accetta, cioè si lavora di fino, e nel caso della patata Amflora non modifichiamo tutto il patrimonio genetico del tubero, ma solo la parte che ci interessa.
Con quali rischi?Nessuno. Il procedimento, è garantito, altrimenti la coltivazione degli ogm non verrebbe approvata né dalle autorità americane né dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare.
Amflora è prodotta dal potente gruppo tedesco Basf. Quanto incide sulle scelte politiche il potere delle multinazionali a caccia di brevetti?Bisognerà vedere il grado di autonomia riservata ai singoli Stati. Nessuno poi è obbligato a coltivare una patata anziché un’altra, e Amflora si presenta con finalità soprattutto industriali, servirà per la produzione della carta. Non la troveremo nei nostri piatti, e come tutte le patate verrà riprodotta per via vegetativa, partendo cioè da un pezzo di tubero, il che rende impossibile la contaminazione con colture non ogm.
Ecco, il pericolo contaminazione. C’è chi lo teme, almeno per certe colture come il mais.La contaminazione è evitabile, basta separare opportunamente i campi. Direi che 50 o 60 metri possono bastare, anche se in Francia hanno imposto un distanziamento fisico di 300 metri per il mais. Il principio di precauzione è sempre valido, tutte le cautele vanno usate, ma dal punto di vista sanitario la contaminazione non creerebbe problemi. Del resto l’Ue permette che una coltivazione che contiene fino allo 0,9 per cento di transgenico può essere definita biologica.
Ma il made in Italy, le colture tipiche, l’agricoltura di qualità? Il "mangiare italiano" che fine farà? I nostri prodotti sono tipici perché coltivati, lavorati, confezionati sul nostro territorio, figli del nostro modo di fare agricoltura ed allevamento. Questo conta. Da 14 anni mais e soia transgenici contribuiscono a nutrire i nostri animali: non si è mai registrato un problema. Il parmigiano e il prosciutto sono quelli di sempre.