Economia

PREVIDENZA. Via dal lavoro con 42 anni. No dai sindacati

Diego Motta sabato 3 dicembre 2011
​Nessuna delega in bianco. Ora che la partita sulla previdenza ha preso contorni chiari, dopo le intenzioni programmatiche espresse giovedì da Bruxelles dal ministro Elsa Fornero, sindacati e partiti si dicono pronti a fare il proprio gioco. Nessuna consultazione formale ma, per dirla con le parole di Raffaele Bonanni, leader della Cisl, «serve una vera e propria trattativa». Si annuncia un percorso «non facile» per l’esecutivo, stretto tra i tempi imposti dall’Unione europea e dai mercati e la necessità di un consenso sociale su manovre ad alto rischio di impopolarità. Eppure la riorganizzazione del sistema pensionistico sembra essere il punto più avanzato nella realizzazione del programma del governo Monti. Scontato il passaggio al contributivo pro rata per tutti dal 2012 e l’aumento delle aliquote per i lavoratori autonomi, anche «quota 40», il numero magico (Camusso dixit), sarà sorpassata. In più, potrebbe essere archiviata dopo appena un anno la cosiddetta «finestra mobile». In pratica, quel meccanismo che faceva slittare di un anno per i dipendenti e di 18 mesi per gli autonomi il momento in cui si percepiva l’assegno (e che di fatto, quindi, già innalzava la quota a 41 anni), dovrebbe essere «assorbito» dai nuovi requisiti per l’accesso alla pensione. Gli anni di contributi necessari per l’accesso alla pensione indipendentemente dall’età dovrebbero essere con tutta probabilità 42, ma su questo tema il negoziato è più che mai aperto e per la compagine di governo appare in salita. Ci sono margini per una trattativa? Se si guarda al calendario, la risposta è «no». Il governo Monti vedrà tra oggi e domani i partiti e le parti sociali. In quarantott’ore è difficile che la piattaforma messa a punto dal ministro Fornero possa essere rivoluzionata, anche se le intenzioni di chi è dall’altra parte del tavolo sono abbastanza bellicose. L’Italia dei valori di Antonio Di Pietro ha detto che non parteciperà a incontri con il premier e ha spiegato che «se il governo metterà le mani sulle pensioni, bloccando l’indicizzazione di quelle minime o colpendo chi ha pagato per quarant’anni i contributi, il nostro voto non potrà che essere contrario». Più prudenti Pdl e Pd, con Angelino Alfano che chiede un «un provvedimento economico» che non sia «insapore e incolore» e Pier Luigi Bersani attento al «rigore» e al «consenso sociale». Sul Partito democratico, in particolare, si avverte il pressing della Cgil: ieri Susanna Camusso ha incontrato il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera e ha detto che «per ora non si vedono tracce d’equità», mentre oggi la minoranza del sindacato potrebbe chiedere lo sciopero generale nel caso in cui l’intervento sugli assegni di anzianità dovesse essere confermato. In quest’ultimo caso, si studia anche un aumento delle quote età più contributi (adesso a 96 per i dipendenti con un minimo di 60 anni) per arrivare al «tetto» di 100 nel 2015. Sembra invece assodato il congelamento delle pensioni rispetto all’inflazione per il 2012: dovrebbe valere, con un aumento dei prezzi del 3%, circa 5-6 miliardi, cifra questa che comprende però i 600 milioni già previsti per il blocco deciso dal precedente governo per le pensioni più alte. Quanto al nodo delle donne che lavorano nel settore privato, si starebbe ragionando su un anticipo dell’aumento dell’età di vecchiaia. Al momento il percorso per arrivare da 60 a 65 anni è fissato tra il 2014 e il 2026, ma si punta a partire nel 2012 per arrivare a 65 nel 2016 o al massimo nel 2018.