Palatò. Da manager a imprenditore dell'agroalimentare
L'imprenditore Omar Campise con lo chef Marc Farellacci
Omar Campise, 43 anni, dopo una ventennale esperienza come manager delle Risorse umane in aziende multinazionali italiane, tra cui Barilla e, autore insieme con Andrea Battista del libro Oltre la crisi, dieci pezzi facili su lavoro, impresa e mercati per ripensare il futuro, edito da Historica-Giubile Regnani, ha deciso di diventare imprenditore. «Dopo aver frequentato un master in Francia, a novembre 2019 ho fondato Palatò - spiega -. Una start up che si occupa di food tech: non ci limitiamo a consegnare a domicilio piatti della nostra eccellenza culinaria. Mi considero un po' un ambasciatore dell'enogastronomia italiana di qualità e della filiera agroalimentare: dal campo alla tavola attraverso l'esperienza di chef stellati». L'idea sta piacendo e a gennaio dovrebbero essere assunte quattro persone: un marketing manager, due stagisti, un operation manager. Gli interessati possono inviare il proprio cv a: info@palatomilano.it.
Campise, di origini calabresi, dopo una carriera da manager ha voluto sfidare sé stesso e la pandemia: «Fuori dall’evidenza del dramma globale che la diffusione del contagio ha generato appare chiaro, a ragione o torto, che il mondo, e l’Italia, ne usciranno cambiati. E in questa trasformazione il virus ha svolto il ruolo di trigger, ovvero di acceleratore di processi, la miccia che ha innescato la causa occasionale, tanto cara agli storici, ma non la forza strutturale».
«Una volta usciti per sempre dalla pandemia - aggiunge - ci ritroveremo con fenomeni che hanno subito una spinta inaspettata, nello sviluppo o nella scomparsa, altri che avranno rallentato e sono più o meno pronti a ripartire, piuttosto che con novità assolute che sulla faccia della terra non avremmo mai visto senza l’avvento, mai ne immaginato e quantomai auspicato, di questa tragedia. Il cambiamento è cambiato è l’espressione coniata da Gary Hamel negli anni 2000 e che probabilmente diventerà il refrain di questi anni. Inutile dire che i settori tradizionali dovranno essere ripensati, il fashion retail, per esempio, dovrà basare le proprie vendite al 50% sui canali digitali e il food out of home dovrà puntare sul delivery come canale necessario per fare volumi».
Tutto questo passa attraverso l’utilizzo dei sistemi digitali sia di marketing che di vendita. Solo il 40% delle nostre aziende ha competenze interne digitali per sviluppare il commercio elettronico e solo il 10% dispone di sistemi di analisi dei dati e intelligenza artificiale, per lo più le multinazionali. Uno scenario complesso per un Paese come il nostro in cui, nel 2017, si contavano circa 5,3 milioni di pmi, il 92% delle imprese attive, che davano occupazione a oltre 15 milioni di persone e generavano un fatturato complessivo di 2mila miliardi di euro (dati Prometeia). In questo caso si dovrà lavorare sulle competenze digitali e non solo sulle reti o sui dati, per non parlare del divario Nord-Sud che si aggraverà molto se non interveniamo con un piano shock per colmare il divario digitale. «Dobbiamo pensare a un percorso digitale come una grande opportunità di sviluppo economico ad alto valore aggiunto - conclude l'imprenditore -. Una sorta di cavallo di Troia: usiamolo per promuovere finalmente quel processo di mutazione culturale che abbiamo cercato di raggiungere per anni, ma per il quale non abbiamo mai beneficiato del contesto culturale adeguato a far aumentare la motivazione del personale. Se pensiamo di ripartire le risorse disponibili, che sono effettivamente cospicue, in mille rivoli, assecondando i desideri di enti e amministrazioni locali, sprecheremmo probabilmente una opportunità storica. I miliardi in arrivo dovranno essere utilizzati per creare ulteriore valore ed essere investiti soprattutto all’interno del mondo delle imprese, vero centro di sviluppo economico. Puntare sui settori produttori-chiave quali Automotive, Strumenti di precisione, Food e Farmaceutico, che sono quelli a più alto indice di esportazione ed investire sia sui processi digitali che sulle innovazioni industriali. È questo il momento delle scelte nette».