Padova purifica l'aria cinese
Una società veneta è riuscita a sconfiggere il coronavirus applicando gli studi di Albert Einstein. La Idrobase di Borgoricco, nel Padovano, ha sanificato la 'Allforclean', cioè la propria fabbrica cinese, utilizzando una tecnologia che la Nasa le ha appaltato una trentina d’anni fa e che l’ha trasformata in uno dei leader nel mercato delle idropulitrici ad acqua e degli impianti di sanificazione. Oggi il gruppo italiano fattura 15 milioni di euro, dodici in Italia (50 dipendenti) e tre in Cina, (42 dipendenti). La struttura 'ripulita' si trova a Ningbo, nella provincia dello Zhejiang. I macchinari sono stati realizzati in Italia e validati dalle autorità cinesi e dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie anche per l’eliminazione del coronavirus.
«Abbiamo testato nella nostra unità produttiva la validità dei macchinari da noi ideati, confortati dalle autorizzazioni alla riapertura avute dalle autorità cinesi- conferma Bruno Ferrarese, Presidente di Idrobase Group -. Siamo italiani e perciò siamo ora orgogliosi di mettere a disposizione, delle autorità competenti il nostro know-how per contribuire a superare la difficile congiuntura sanitaria nel Paese, permettendo un rapido ritorno alle normali attività di una comunità». Al di là del (legittimo) orgoglio veneto, a incuriosire è l’evoluzione della tecnologia 'state-of-theart', utilizzata nelle stazioni aerospaziali statunitensi: come spiega una nota della società padovana, «viene prodotta una coltre di ossidanti che, sfruttando l’azione di luce ed umidità dell’aria, attiva la decomposizione delle sostanze organiche ed inorganiche nocive: è un fenomeno assolutamente naturale, simile a quanto si verifica durante un temporale».
L’aria viene purificata attraverso il sistema AHMPP, «che non si basa su filtri o purificatori, ma assorbe e converte parte dell’energia luminosa in elettroni e lacune di elettroni. Gli ossidanti prodotti dal sistema AHMPP sono mortali per il coronavirus, ma non danneggiano nè le persone, nè gli animali domestici» assicurano in azienda. Detto così, può sembrare semplice, ma non lo è. Anzi, è talmente complicato che gli stessi cinesi non sono ancora riusciti a riprodurre la tecnologia, talmente complessa che gli americani non hanno sentito il bisogno di brevettarla. A spiegarcela è Giovanni Mastrovito, responsabile scientifico di 'Pure Air Ion', la società che si interfaccia con l’agenzia spaziale statunitense. Tutto inizia, ci racconta, con le lastre di diossido di titanio che lastricavano le varie navicelle Apollo. Colpito da fasci di luce, il diossido perde alcuni elettroni e si creano le cosiddette 'lacune'. Il processo è innescato dai fotoni solari che si trasformano in energia, il famoso effetto fotoelettrico che fu spiegato da Einstein e gli valse il premio Nobel per la fisica, nel 1921. «Pacchetti di luce che colpiscono il metallo nanostrutturato - spiega Mastrovito - creano coppie di elettroni e di lacune. Queste ultime innescano a loro volta l’ossidoriduzione nella componente umida dell’atmosfera. Quando gli elementi ossidanti intercettano un organismo microscopico, le lacune disgregano le molecole organiche e lo uccidono, mentre gli elettroni propagano l’effetto; tutto questo non può succedere se intercettano organismi di dimensioni più grandi e con protezioni più complesse, come l’uomo o gli animali, ai quali questi scambi di elettroni risultano impercettibili». Questione di proporzioni: quasi banale, se vogliamo, eppure essenziale per ripulire ambienti chiusi come una navicella spaziale. Come pure per sanificare aria e superfici dal coronavirus, che usa i liquidi organici come vettore e viene sterminato da questa cascata di ossidazioni. Per innescare il processo si utilizzano raggi uvc e diossido di titanio arricchito da metalli preziosi. Il cuore del sistema è una piastrina di superconduttore, fusa in proporzioni tali da regolare esattamente il processo: quanti atomi di ogni metallo e in quali agglomerati si debbano usare lo sa solo la Nasa. Avrebbe detto un funzionario del Dipartimento di Stato: «Inutile brevettare la formula, perché scoprirla è come indovinare la combinazione vincente del vostro Superenalotto».