Il rapporto. Ricchezza, potere, genere: è un mondo sempre più diseguale. Ecco i numeri
Tra luglio 2022 e giugno 2023, per ogni 100 dollari di profitto generati da 96 tra le imprese più grandi al mondo 82 dollari sono fluiti agli azionisti sotto forma di dividendi o buyback azionari. Per quasi 800 milioni di lavoratori occupati in 52 Paesi i salari non hanno tenuto il passo dell’inflazione e anzi il monte salari ha visto un calo in termini reali di 1.500 miliardi di dollari nel biennio 2021-2022, una perdita equivalente a quasi uno stipendio mensile (da 25 giorni) per ciascun lavoratore.
A livello globale gli uomini detengono una ricchezza superiore di 105.000 miliardi dollari a quella delle donne, che pure oramai sono quasi lo stesso numero degli uomini. Tale differenza è equivalente a 4 volte la dimensione dell’economia statunitense.
E ancora, sette tra le dieci più grandi multinazionali al mondo hanno un amministratore delegato miliardario o un miliardario tra i propri azionisti di riferimento, 148 tra le più grandi società al mondo hanno realizzato profitti per circa 1.800 miliardi di dollari in 12 mesi fino a giugno 2023, registrando un incremento del 52,5% rispetto al profitto medio nel quadriennio 2018-21.
Messi tutti vicini i numeri delle disuguaglianze, presentati da Oxfam, la Ong britannica in apertura del World Economic Forum di Davos, mostrano quanto il divario economico e sociale sia globale e quanto sia preponderante il fenomeno dell’inversione delle fortune tra chi occupa posizioni apicali nella piramide della ricchezza nazionale e la metà più povera del Paese.
Vale ovviamente anche per l’Italia, dove dal 2000 a oggi, le quote di ricchezza nazionale netta detenute dal 10% più ricco dei nostri connazionali e dalla metà più povera della popolazione italiana hanno mostrato un andamento divergente. La quota di ricchezza detenuta dal top-10% è cresciuta di 3,8 punti percentuali nel periodo 2000-2022, mentre la quota della metà più povera degli italiani ha mostrato un trend decrescente, riducendosi nello stesso periodo più che ventennale di 4,5 punti percentuali.
Nel mondo almeno 4,8 miliardi di persone negli ultimi 10 anni hanno tenuto a stento il passo con l’inflazione. Mentre i miliardari hanno visto il valore dei propri patrimoni crescere in tre anni di 3.300 miliardi di dollari in termini reali, un aumento del 34% rispetto all’inizio di questo decennio di crisi, con un tasso di crescita tre volte superiore a quello dell’inflazione.
Dal canto loro, i governi si trovano in grandi difficoltà finanziarie di fronte al crescente debito e agli aumenti dei costi di importazione di carburante, cibo e medicinali. I Paesi a basso e medio-basso reddito saranno costretti a pagare quasi mezzo miliardo di dollari al giorno per il servizio del proprio debito da qui al 2029, e dovranno apportare tagli draconiani alla spesa pubblica per poter ripagare i propri creditori; un caso su tutti quello dell’Ecuador che ha recentemente venduto parte dell’oro delle sue riserve auree per ripagare una parte di debito pubblico.
Dal 2020, i 5 uomini più ricchi al mondo hanno raddoppiato le proprie fortune (+114%), mentre 5 miliardi di persone più povere hanno visto complessivamente invariata la propria condizione Ai ritmi attuali, ci vorranno oltre 2 secoli (230 anni) per porre fine alla povertà, ma nel giro di un decennio potremmo avere il primo trilionario della storia dell’umanità - Oxfam
In Italia, il quadro distribuzionale tra il 2021 e il 2022 mostra quasi un dimezzamento della quota di ricchezza detenuta dal 20% più povero (passata dallo 0,51% allo 0,27%), a fronte di una sostanziale stabilità della quota del 10% più ricco degli italiani. La forbice si amplia: se a fine 2021 la ricchezza del top-10% era 6,3 volte superiore a quella detenuta dalla metà più povera della popolazione, il rapporto supera il valore 6,7 nel 2022. Ancor più al vertice della piramide distributiva, le consistenze patrimoniali nette dell’1% più ricco (titolare, a fine 2022, del 23,1% della ricchezza nazionale) erano oltre 84 volte superiori alla ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana.
Dall’inizio della pandemia fino a novembre 2023 il numero dei miliardari italiani è aumentato di 27 unità (passando da 36 a 63) e il valore dei patrimoni miliardari (pari a 217,6 miliardi di dollari a fine novembre 2023) è cresciuto in termini reali di oltre 68 miliardi di dollari (+46%). Nel corso del 2023 è cresciuto anche il numero dei multimilionari italiani: l’insieme dei titolari di patrimoni finanziari superiori a 5 milioni di dollari si è ampliato di 11.830 unità (passati da 80.880 a 92.710). Il valore dei loro asset è lievitato di 178 miliardi di dollari in termini reali nell’ultimo anno.
D’altro canto è cresciuta anche l’incidenza della povertà assoluta nel 2022. Poco più di 2 milioni e 180mila famiglie nel 2022 vivevano in condizioni di povertà assoluta, non disponendo di risorse mensili sufficienti ad acquistare un paniere di beni e servizi essenziali per vivere in condizioni dignitose. L’incidenza della povertà a livello familiare è passata in un anno dal 7,7% all’8,3%, mentre quella individuale è cresciuta dal 9,1% al 9,7%.
In Italia, a fine del 2022 il patrimonio netto dell’1% più ricco era 84 volte superiore a quello detenuto dal 20% più povero della popolazione, la cui quota di ricchezza si è dimezzata tra il 2021 e il 2022 - Oxfam
Non basta il dato positivo del tasso di occupazione al 61,3% per le persone tra i 15 e i 64 anni di età a fronte della perdurante stagnazione salariale, della contenuta produttività del lavoro, della bassa qualità lavorativa di giovani e donne e soprattutto del diffuso ricorso a forme di lavoro povero e atipico che determina marcate disuguaglianze retributive e costringe 5,6 milioni di italiani in condizioni di povertà assoluta.
«L’assenza di una chiara politica industriale, orientata alla creazione di posti di lavoro di qualità, costituisce una rinuncia a contrastare l’indebolimento dell’economia nazionale e a riqualificare lo sviluppo del Paese in campo tecnologico e ambientale – così denuncia Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia – L’ulteriore liberalizzazione dei contratti a termine e del lavoro occasionale rischia di rafforzare le trappole della saltuarietà, discontinuità e precarietà lavorativa. L’opposizione al salario minimo legale è infine una scelta emblematica di un profondo disinteresse a tutelare i lavoratori meno protetti, impiegati in settori in cui la forza dei sindacati è minima».