Economia

Equilibri globali. Ostacolato da Europa e America il «Made in China» punta all'Africa

Paolo M. Alfieri mercoledì 4 settembre 2024

Bambini cinesi sventolano bandierine di Cina e Togo per accogliere a Pechino il presidente togolese Faure Gnassingbe

Se Stati Uniti ed Unione Europea alzano (o promettono di alzare) nuove barriere doganali su un numero crescente di merci cinesi, Pechino risponde non solo con reciproci dazi, ma anche provando ulteriormente ad espandere la propria influenza commerciale su aree del mondo in cui l’Occidente appare, se non in ritirata, quanto meno in fase di stallo. Il Forum sulla cooperazione Cina-Africa che per tre giorni, da oggi, vedrà arrivare nella capitale cinese molti leader africani è in questo senso, per le autorità di Pechino, lo scenario ideale per rinsaldare legami su molti fronti.

Con una novità peculiare: se tradizionalmente la Cina ha intrecciato negli ultimi anni la propria presenza nel continente nero agli investimenti nelle infrastrutture – e a corposi prestiti bilaterali ad alti tassi di interesse che hanno finito per soffocare molte economie locali –, ora il Dragone punta a fare dell’Africa anche uno sfogo per la propria produzione industriale. In tal modo, in particolare per merci come veicoli elettrici, pannelli solari e l’intero segmento delle nuove tecnologie, Pechino è convinta di riuscire, almeno in parte, a far fronte all’irrigidimento di Washington e Bruxelles, che continuano a elevare muri contro la sovraproduzione industriale cinese.

Ma c’è di più: rinsaldare rapporti commerciali vuol dire per la Cina anche continuare ad espandersi in Africa sul fronte dell’approvvigionamento di materiali “critici”, quei minerali rari essenziali per la transizione energetica, lo sviluppo di sistemi di difesa e del tech di cui il continente africano detiene il 30 per cento delle riserve globali. Pechino, in questo senso, appare ormai sempre più focalizzata non solo sull’acquisto di questi minerali, ma anche direttamente sulla loro produzione locale. Solo per fare alcuni esempi, nel 2021 e 2022 società cinesi hanno investito oltre un miliardo di dollari per progetti relativi al litio nello Zimbabwe e si stima che oltre il 90% del litio prodotto in Africa nel 2024 arriverà da progetti che vedono almeno parzialmente coinvolte aziende cinesi. Nella Repubblica democratica del Congo, parallelamente, sono soprattutto le miniere di rame e di cobalto a vedere partecipazioni di aziende controllate da Pechino. Il Forum Cina-Africa, che si tiene ogni tre anni a partire dal 2000, è centrale nella strategia di penetrazione cinese in Africa e tocca una grande varietà di aspetti, compresi sviluppo agricolo, salute, infrastrutture, cooperazione. Negli anni, anche da molte amministrazioni opache del continente africano, Pechino è stata vista come il partner economico ideale per la sua dottrina di non intromissione negli affari interni dei singoli Stati. La Cina, insomma, fa business e non chiede spiegazioni su diritti umani o scontri politici interni, badando soprattutto a preservare le relazioni commerciali.


Le materie prime critiche di cui è ricco il territorio africano restano al centro degli interessi del governo cinese



Una strategia che la pone su un piano differente rispetto ai suoi più diretti “competitor” occidentali. Le decine di leader ospiti in questi giorni a Pechino chiederanno però rassicurazioni alle autorità cinesi su progetti infrastrutturali promessi nel 2021e ancora non completati, come la linea ferroviaria designata a collegare la regione orientale del continente. Le infrastrutture “tradizionali” – ponti, porti, ferrovie – non sembrano peraltro più un settore di intervento prioritario della Cina in Africa, con i nuovi finanziamenti diretti soprattutto a parchi solari, strutture Wi-Fi 5G, impianti legati a nuove tecnologie. Lo scorso anno Pechino ha offerto 13 prestiti per 4,2 miliardi di dollari a otto Stati africani e due banche regionali, con 500 milioni dedicati a progetti per il solare e per l’idroelettrico. Il Dragone, inoltre, si è confermato nel 2023 per il quindicesimo anno consecutivo come il principale partner commerciale africano, con scambi bilaterali record per 282 miliardi di dollari. Prodotti come il caffè etiope, il vino sudafricano e i cosmetici prodotti dall’industria senegalese sono sempre più popolari sul mercato cinese, ma la bilancia commerciale pende sempre e comunque a favore di Pechino. I leader africani approfitteranno dunque del Forum per ricordare alla Cina l’impegno, assunto nel 2021, di acquistare merci africane per 300 miliardi di dollari. È sul settore minerario, comunque, che si giocherà la partita degli anni a venire. Unione Europea e Usa hanno sì siglato intese regionali in Africa per rafforzare le loro partnership locali su materie prime “critiche” e promesso sostegno nello sviluppo del Corridoio Lobito – che collega il porto angolano di Lobito a regioni minerarie di Congo e Zambia per facilitare il trasporto dei minerali in Europa e Nordamerica – ma non hanno ancora tradotto queste intese in obiettivi di investimento o in azioni finanziarie tangibili.

La priorità si sta spostando dalle infrastrutture “tradizionali” a quelle digitali,
a partire dagli impianti per le tlc

Il vantaggio cinese nel settore al momento è evidente: il comparto minerario rappresenta il 23,8 per cento degli investimenti diretti cinesi in Africa, tanto da essere il secondo per importanza dietro soltanto alle costruzioni. Si stima che quasi il 90 per cento delle importazioni cinesi dall’Africa sia costituito da minerali, metalli, una quota che comprende però anche combustibili fossili come il carbone. L’Agenzia internazionale per l’energia ritiene che la domanda globale di minerali critici utilizzati nelle tecnologie per l’energia pulita raddoppierà entro il 2030: per l’Africa si tratta di un’opportunità unica, a patto che le leadership politiche del continente riescano ad andare oltre l’essere semplici fonti di materie prime. Paesi come Nigeria, Namibia e Ghana hanno vietato l’esportazione di materie prime come litio e bauxite, nel tentativo di promuovere la produzione locale e, con questa, ottenere un valore aggiunto sulla vendita delle proprie risorse, garantendosi profitti più equi lungo la catena produttiva. Tutto da vedere se la Cina, da parte sua, sentirà la stessa necessità di riequilibrare un rapporto fin qui del tutto sbilanciato.