Ocse. In Italia a rischio automazione il 15,2% dei posti
In Italia il 15,2% dei posti di lavoro potrebbe scomparire, perché è a rischio automazione e un posto di lavoro su tre, il 35,5%, potrebbe subire sostanziali cambiamenti nel modo in cui vengono svolti o comunque verrà eseguito con mansioni molto diverse da quelle attuali. Lo rivela l'Employment Outlook 2019 dell'Ocse, secondo il quale «alcuni posti di lavoro potrebbero scomparire».
Più nel dettaglio il 14% è ad alto rischio di automazione in media tra i Paesi Ocse, contro il 15,2% dell'Italia, il 21,7% della Spagna, il 18,4% della Germania, il 16,4% della Francia e il 10,2% degli Stati Uniti. Il Paese a minor rischio, da questo punto di vista è la Norvegia (5,7%) e quello a maggio rischio la Slovacchia con il 33,6%. Inoltre in Italia il 35,5% dei posti di lavoro «potrebbe subire sostanziali cambiamenti nel modo in cui vengono svolti», oppure «questi posti di lavoro rimarranno, ma con
mansioni molto diverse da quelle attuali». Nei Paesi Ocse la media è inferiore e si attesta al 31,6%, contro il 35,8% della Germania, il 32,8% della Francia, il 30,2% della Spagna, il 27% degli Stati Uniti e il 39,2%
del Giappone. Il Paese a minor rischio da questo punto di vista è la Nuova Zelanda con una media del 22,8%, mentre quello più a rischio è la Turchia con il 43,1%.
Inoltre - continua il rapporto dell'Ocse - in Italia «il numero di occupati probabilmente non diminuirà» a causa dell'automazione e della globalizzazione, ma «la qualità del lavoro e le disuguaglianze tra i lavoratori potrebbero peggiorare». Nel nostro Paese la quota di lavoro temporaneo è superiore alla media Ocse (15,4% contro 11,2%) ed è cresciuta notevolmente nell'ultimo decennio. Contemporaneamente, la
quota di lavoratori sotto occupati è più che raddoppiata dal 2006, ed è ora la più alta tra i Paesi Ocse (oltre il 12% contro meno del 6%). Inoltre la contrattazione collettiva può integrare le politiche pubbliche nel campo della formazione. Nel 2016, per esempio, i sindacati del settore metalmeccanico in Italia hanno negoziato aumenti salariali inferiori alle attese in cambio di formazione per tutti i lavoratori, indipendentemente dall'azienda per cui lavorano. Tuttavia, l'attuazione di questa parte dell'accordo rimane ancora limitata per difficoltà pratiche di implementazione.
Un altro tema su cui il rapporto focalizza la sua attenzione è l'accesso agli strumenti di protezione sociale, il quale in generale nei Paesi Ocse è più difficile per i lavoratori con contratti di lavoro atipici (non a tempo indeterminato). In Italia rispetto agli altri Paesi Ocse, nota l'organizzazione di Parigi, l'accesso alle misure di sostegno di reddito «è relativamente limitato, mentre i livelli dei trasferimenti ai beneficiari sono spesso
piuttosto elevati». Rispetto ad altri paesi europei, i lavoratori a tempo parziale in Italia godono di un sostegno al reddito in caso d'inattività simile a quello dei lavoratori con contratto a tempo pieno e indeterminato. Invece, i lavoratori autonomi e i lavoratori dipendenti con periodi contributivi intermittenti hanno un accesso più difficile alla protezione sociale. Ad esempio, la probabilità di ricevere un sostegno al reddito è solo del 10% per un lavoratore autonomo senza attività che fa parte di un nucleo familiare a basso reddito composto da due adulti e senza figli e che aveva in precedenza un reddito mediano. Per un
lavoratore dipendente con un contratto a tempo indeterminato nella stessa situazione socio-economica la probabilità è più del 50%. L'Italia, comunque, secondo l'Ocse, ha ampliato significativamente gli
strumenti di sostegno al reddito per le persone a rischio povertà nel 2018 e nel 2019. Nel 2015, ha anche introdotto una serie di modifiche al sistema degli ammortizzatori sociali volte ad ampliare la platea dei beneficiari. Tuttavia, assicurare adeguati strumenti di protezione per i lavoratori autonomi rimane una sfida aperta.
Dal report si evince poi che l'incidenza di lavoratori autonomi che dipendono finanziariamente da un solo cliente - un gruppo particolarmente vulnerabile tra i lavoratori autonomi - è appena inferiore alla media Ocse (6,2% contro il 6,7%). E la formazione permanente, uno strumento che l'Ocse considera «fondamentale per aiutare i lavoratori più vulnerabili a destreggiarsi in un mercato del lavoro in cambiamento», è inadeguata. Nei Paesi Ocse il 40% degli adulti partecipa in media alla formazione, mentre il «sistema italiano di formazione permanente non è attrezzato per le sfide future». Più nel dettaglio «solo il
20,1% degli adulti in Italia ha partecipato a programmi di formazione professionale nell'anno precedente la
rilevazione. Inoltre, «solo il 60% delle imprese (con almeno dieci dipendenti) offre formazione continua ai propri dipendenti, contro una media europea Ocse del 75,2%». Il rapporto segnala anche che nei Paesi Ocse, chi ha più bisogno di formazione continua e cioè i lavoratori a bassa qualifica e quelli con contratti atipici, in realtà riceve meno formazione e non sempre di buona qualità. Vi è infatti un grande divario nell'accesso alla formazione professionale tra lavoratori ad alta e bassa qualifica: circa 39,3 punti percentuali nella media dei Paesi Ocse, contro il 38% dell'Italia.
In questo senso, «il reddito di cittadinanza - precisa il rapporto - introdotto di recente rappresenta un trasferimento di risorse importante verso le persone in condizioni di povertà. Tuttavia, il livello attuale del sussidio è elevato rispetto ai redditi mediani italiani e relativamente a strumenti simili negli altri Paesi
Ocse. La sua messa in opera dovrà essere monitorata attentamente per assicurare che i beneficiari siano accompagnati verso adeguate opportunità di lavoro». Infine, «il sistema italiano di servizi pubblici per
l'impiego manca di personale qualificato, di strumenti informatici e di risorse adeguate e, per queste ragioni, la qualità dei servizi è bassa e varia notevolmente attraverso il Paese. Oltre a ulteriori risorse, occorre migliorare il coordinamento tra le autorità centrali e quelle regionali responsabili dell'implementazione delle politiche attive, anche attraverso linee guida comuni per un miglioramento dei servizi per l'impiego».