Istat. Occupazione ai livelli pre-Covid, quella femminile fa un balzo in avanti
Occupazione femminile in crescita, ma molti contratti sono a tempo
Il recupero dei posti di lavoro inghiottiti dalla pandemia è un dato di fatto. Certificato dai numeri. Il tasso di occupazione è tornato al punto di partenza, a quel 59% del febbraio 2020. Ma sulla ripresa si allungano ombre scure sulla qualità del lavoro offerto, sempre più fragile, con contratti a tempo determinato che documentano preoccupazioni per il presente e incertezze per il futuro. Gli ultimi dati diffusi dall’Istat, relativi al mese di dicembre, hanno come tratto distintivo un aumento dell’occupazione femminile messa a dura prova dall’emergenza sanitaria. Il tasso di occupazione si attesta al 50,5%, dato in assoluto non entusiasmante ma il più elevato nella storia del nostro Paese. In un mese c’è stato un vero e proprio balzo in avanti con 54mila contratti in più (+0,6%), ben 377mila (+4,1%) rispetto a dicembre 2020. Emerge di contro un calo per gli uomini di 52mila occupati (-0,4%) su base mensile ed un aumento di 163mila (+1,3%) su base annua. Le donne occupate sono 9 milioni 650mila, e altrettante quelle senza un lavoro, gli uomini 13,1 milioni vale a dire il 67,6%. Se si guarda da un’altra angolatura, quella della tipologia dei contratti a traniare la ripresa sono ancora una volta i contratti a termine (anche e soprattutto per le donne e i lavoratori più giovani), mentre a bilanciare in negativo ci sono gli autonomi e gli ultracinquantenni che perdono posizioni. Il tasso di disoccupazione scende di un soffio al 9% (-0,1%) e in maniera più consistente tra i giovani, attestandosi al 26,8% (-0,7%). Anche la sostanziale stabilità del numero di inattivi è frutto della crescita osservata per uomini e ultra 50enni e della diminuzione tra donne e individui con meno di 50 anni di età. Il tasso di occupazione complessivo è stabile al 59%, tornato ai livelli pre-Covid, quello di disoccupazione è inferiore di 0,6 punti rispetto ai livelli pre-Covid e quello di inattività è salito dal 34,6% al 35,1%.
«Il lieve calo dell'occupazione nel mese di novembre e la sostanziale stabilità registrata a dicembre rallentano la crescita dell'occupazione osservata a partire dal mese di febbraio 2021, con l'unica eccezione del mese di agosto. Rispetto a gennaio, infatti, il numero di occupati è cresciuto di oltre 650mila unità e il tasso di occupazione è più elevato di 2,2 punti percentuali» sottolinea l’Istat. A livello tendenziale si registra un aumento di 540mila occupati rispetto al dicembre del 2020 (+2,4%) con l’unica eccezione dei lavoratori di età compresa tra i 35 e i 49 anni che sono stabili per effetto della componente demografica. A dicembre, rispetto allo stesso mese del 2020, diminuisce sia il numero di persone in cerca di lavoro (-7,6%, pari a -184mila persone), sia gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-4,7%, vale a dire 653mila persone).
In un quadro all’apparenza positivo, con un sostanziale ritorno allo status quo pre-pandemico, i due elementi più significativi, l’occupazione femminile e quella giovanile (cresciuta del 2% rispetto al febbraio 2020), nascondono delle insidie. Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt mette l’accento su una "distorsione" ormai strutturale. «I contratti a termine sono cresciuti del 16,4% mentre quelli a tempo indeterminato solo dell'1,1%. Bisogna capire se l'occupazione temporanea di donne e giovani si stabilizzerà nel prossimo futuro, quando auspicabilmente verrà meno l'incertezza legata alla pandemia. Quindi il forte segnale positivo richiede attenzione: va monitorato perché i lavoratori a tempo hanno bisogno di stabilizzazione o di politiche attive, per garantire a tutti diritti, tutele, formazione». La segretaria confederale della Uil, Ivana Veronese, commentando i dati Istat parla di «forte la preoccupazione sulla qualità del lavoro» legata al fatto che nel mese di dicembre, l'80% dell'aumento occupazionale è dovuto a contratti a termine. «Se è vero come è vero che la ripresa economica è ripartita, non altrettanto si può dire per l'equità e la giustizia sociale».
Confesercenti e Confcommercio si concentrano invece «sull'emorragia degli autonomi» in atto da due anni che non accenna a diminuire. Dopo il crollo di 286 mila unità nel 2020 (-72 mila nel 2019), lo scorso anno si sono persi altri 50 mila posti di lavoro. È stata superata, al ribasso, la soglia simbolica dei 5 milioni di occupati. «Uno stillicidio – sottolinea l’Uffico Studi di Confesercenti – che si sta abbattendo sul sistema delle piccole imprese italiane, duramente provate dalla pandemia, e che rappresenta la cartina di tornasole dei limiti della ripresa in corso». Anche Confcommercio evidenzia la perdita di 320mila occupati tra gli indipendenti; un fenomeno che non accenna a riassorbirsi e che insieme all’inflazione nei prossimi mesi «potrebbe modificare negativamente la dinamica del mercato del lavoro».